Sabato 20 Aprile 2024

Decreto anti-rave, dal carcere al diritto di riunione. I giuristi: perché è rischioso

La premier e il ministro della Giustizia Nordio difendono la norma: nessun intento liberticida. Il presidente emerito Flick: "Non è possibile che una festa sia più grave di un omicidio colposo"

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

Una norma che dà un forte giro di vite ai rave illegali, come sostiene il Governo, o un decreto potenzialmente liberticida che potrebbe essere utilizzato anche per sgomberare palazzi, scuole e università occupate e per reprimere manifestazioni con oltre i 50 partecipanti?

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Non si parla di rave

Uno dei problemi principali del decreto è che il nuovo articolo 434 bis (Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica), che viene dopo il 434 che sanziona “crolli di costruzioni e altri disastri“ (e non si capisce cosa c’entri con i rave) è soprattutto che non cita mai la parola rave, prestandosi così ad una interpretazione estensiva. "Il reato – osserva Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, già Guardasigilli – è rappresentato dall’invasione allo scopo di qualcosa, cioè da una condotta con finalità specifica di organizzare un raduno non meglio specificamente indicato. Si fa riferimento a raduni “pericolosi per l’ordine pubblico, l’incolumità e la salute pubblica su terreni pubblici o privati“. A qualsiasi tipo di raduno, non necessariamente i rave. E questo è il primo problema".

Diritto di riunione contro ordine pubblico

Nell’articolato vengono poi introdotti i parametri della tutela dell’ordine pubblico e della salute pubblica. E specialmente il primo, declinato oltretutto in formula dubitativa ("quando può derivare un pericolo per l’ordine pubblico") apre ampi spazi di discrezionalità. "Il diritto di riunione – sottolinea Flick – è un diritto fondamentale, garantito dalla Costituzione. Se una manifestazione avviene in un luogo pubblico va solo avvisata l’autorità che può vietarla solo per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica. A questi profili, la norma introdotta dal decreto aggiunge adesso anche l’ordine pubblico e la salute pubblica, concetti generici, discrezionali, che la norma costituzionale non prevede. E questo è il secondo problema".

La pena è troppo alta 

C’è poi il tema dell’entità della pena: da 3 a 6 anni. Per fare paragoni, l’omicidio colposo è punito con pene da 6 mesi a 5 anni, le lesioni gravissime da 3 mesi a 2 anni, la truffa aggravata da 1 a 5 anni, il furto in abitazione e lo scippo da 1 a 6 anni, la rapina a mano armata da 4 a 10 anni. I rave sono più nocivi di tutto ciò? "La scelta della pena è un discorso che il governo ha fatto nella sua discrezionalità – osserva Flick – ma mi pare molto forte rispetto alla previsione base di questo reato, che è l’invasione di terreni, che oggi viene punita con un massimo di 3 anni".

L'uso di un decreto

C’è poi la questione dell’opportunità di introdurre un giro di vite di questo tipo per decreto. E di farlo con una norma penale. "Ho qualche perplessità che si limiti una libertà costituzionale fondamentale come quella di riunione al di là di quanto consenta la Costituzione – osserva Flick – e credo poi che alla norma penale vada fatto ricorso solo come estrema ratio, quando non sono possibili interventi di altro genere, come ad esempio interventi con regole e divieti di tipo amministrativo come propongono altri ordinamenti come quelli francese o tedesco".

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"Altra cosa che mi lascia perplesso – continua l’ex Guardasigilli – è che questo provvedimento venga adottato in relazione ad una situazione specifica che peraltro si è risolta senza problemi. Credo poi che sia non felice l’abbinamento dell’introduzione di una norma penale che limita la libertà delle persone con il pur momentaneo rinvio della riforma del processo penale, in un contesto in cui si era detto che fosse opportuno depenalizzare e limitare il ricorso alla norma penale".

Manca un perimetro

Probabilmente, se proprio si vuole mantenere il nuovo reato penale (che come Flick ricorda già c’era, articolo 663) meglio sarebbe chiarire esplicitamente i limiti e l’ambito di applicazione della norma. Eventualità che una parte della maggioranza non ha escluso. "Il Parlamento – osserva il presidente emerito della Consulta – ha uno spazio di tempo sufficientemente lungo, di 60 giorni, per riflettere, discutere ed aggiustare il tiro". Volendo, si può fare. Ma per ora il premier, vista la sua difesa a spada tratta del decreto, non sembra di questo avviso.