di Giovanni Bogani La voce, al telefono, è allegra, sembra ancora quella di un ragazzo. Il ragazzo che si tuffava nel lago, per fare la comparsa, la controfigura, lo stuntman nei film di pirati, quando aveva ancora quattordici anni. Adesso gli anni sono un po’ di più, sono due volte quaranta. Ma per Fabio Testi l’allegria e la vitalità non sono mai in riserva. Ce n’è sempre, così come c’è la voglia di parlare di quel film, Il giardino dei Finzi Contini, che segnò la svolta della sua carriera, forse della sua vita. Il film di Vittorio De Sica, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani, ha vinto l’Oscar (miglior film straniero) cinquant’anni fa. La pellicola aveva un cast stellare, con Lino Capolicchio, la bellissima Dominque Sanda, Helmut Berger, Romolo Valli. E poi c’era lui, già divinamente bello, uno Sean Connery padano, sicuro di sé. Come fu trovarsi in mezzo a tanti attori celebrati? "Mica facile. Ero un po’ l’outsider, e non mancavano di farmelo capire. Dominque Sanda aveva già lavorato con Bertolucci, Helmut Berger si portava dietro il fascino, il carisma dell’interprete dei film di Luchino Visconti, Lino Capolicchio era il più bravo attore emergente. Io all’inizio ero solo il ragazzo che aveva fatto un paio di western, quello che con il mondo del cinema ancora c’entrava poco. Io avevo fatto la controfigura a Johnny Dorelli, e qualche western all’italiana, non molto di più. E mi sentivo abbastanza a disagio". E con Vittorio De Sica, il regista? "Una meraviglia. Con De Sica era facilissimo recitare, perché era un regista che era stato, prima di ogni altra cosa, attore. E lo rimaneva, nell’anima. Un attore che, fra le altre cose, amava gli altri attori. Ci faceva sedere, a turno, sulla sua sedia, quella del regista, dietro la macchina da presa. Lui andava davanti, e recitava tutti ...
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