Giovedì 18 Aprile 2024

"De Sica e Bassani litigarono per me Finalmente non ero più solo un cowboy"

A 50 anni dall’Oscar a “Il giardino dei Finzi Contini“. "Ero quello dei western, lo scrittore voleva un intellettuale al mio posto"

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di Giovanni Bogani

La voce, al telefono, è allegra, sembra ancora quella di un ragazzo. Il ragazzo che si tuffava nel lago, per fare la comparsa, la controfigura, lo stuntman nei film di pirati, quando aveva ancora quattordici anni. Adesso gli anni sono un po’ di più, sono due volte quaranta. Ma per Fabio Testi l’allegria e la vitalità non sono mai in riserva. Ce n’è sempre, così come c’è la voglia di parlare di quel film, Il giardino dei Finzi Contini, che segnò la svolta della sua carriera, forse della sua vita. Il film di Vittorio De Sica, tratto dal romanzo di Giorgio Bassani, ha vinto l’Oscar (miglior film straniero) cinquant’anni fa. La pellicola aveva un cast stellare, con Lino Capolicchio, la bellissima Dominque Sanda, Helmut Berger, Romolo Valli. E poi c’era lui, già divinamente bello, uno Sean Connery padano, sicuro di sé.

Come fu trovarsi in mezzo a tanti attori celebrati?

"Mica facile. Ero un po’ l’outsider, e non mancavano di farmelo capire. Dominque Sanda aveva già lavorato con Bertolucci, Helmut Berger si portava dietro il fascino, il carisma dell’interprete dei film di Luchino Visconti, Lino Capolicchio era il più bravo attore emergente. Io all’inizio ero solo il ragazzo che aveva fatto un paio di western, quello che con il mondo del cinema ancora c’entrava poco. Io avevo fatto la controfigura a Johnny Dorelli, e qualche western all’italiana, non molto di più. E mi sentivo abbastanza a disagio".

E con Vittorio De Sica, il regista?

"Una meraviglia. Con De Sica era facilissimo recitare, perché era un regista che era stato, prima di ogni altra cosa, attore. E lo rimaneva, nell’anima. Un attore che, fra le altre cose, amava gli altri attori. Ci faceva sedere, a turno, sulla sua sedia, quella del regista, dietro la macchina da presa. Lui andava davanti, e recitava tutti i ruoli. Noi dovevamo solo imitare quello che faceva lui. Non c’è mai stato, per me, un film più facile da fare".

Che però le ha portato il Globo d’oro, come miglior attore rivelazione.

"Esatto. E poi, dato che il film ha vinto l’Orso d’oro a Berlino, e l’Oscar per il miglior film straniero, di colpo non ero più il signor nessuno con gli stivali da cowboy, ma quello che aveva interpretato Il giardino dei Finzi Contini".

Come la scelsero?

"Anche quella fu una battaglia. Giorgio Bassani, l’autore del romanzo da cui il film è tratto, non mi vedeva nella parte. Insomma, non mi voleva proprio. Voleva un attore più intellettuale, qualcuno con gli occhiali da vista: De Sica aveva capito che invece serviva una presenza fisica per l’amante di Micòl, interpretata da Dominque Sanda. Dovette difendermi a spada tratta, contro l’autore del libro e lo scetticismo dei produttori".

I dissidi fra Bassani e gli autori del film – De Sica, ma anche gli sceneggiatori – andarono anche oltre.

"Sì, all’inizio Bassani lavorava insieme agli sceneggiatori. Ma non si trovavano mai d’accordo. E il conflitto maggiore forse cadde sul mio personaggio, sul fatto che la relazione con Micòl nel film diventava più chiara, più esplicita, mentre nel romanzo non lo era. Alla fine Bassani volle togliere la sua firma, il suo nome dai titoli di coda del film".

De Sica non sembrò preoccuparsene.

"Aveva altri pensieri: quando giravamo, era sempre molto rilassato, molto charmant. Ma aspettava la sera e da Ferrara se ne andava al casinò più vicino, a giocare tutta la notte. La mattina dopo, era di nuovo sul set, avesse vinto o avesse perso. Molti pensavano che fosse ormai un po’ perduto lui, che non fosse più padrone di sé: invece, sul set, riusciva sempre a fare uscire la zampata del leone".

Con il resto del cast, andavate a cena insieme?

"No, io ero un illustre sconosciuto, e sono rimasto tale per loro".

Dominique Sanda come era in quei giorni?

"Era allegra, imprevedibile, pazzerella".

Avrà legato di più con qualcuno?

"Romolo Valli. Era un grande maestro, di una simpatia, di una umanità incredibile. Avevo un grande affetto per lui. Anche agli altri volevo bene, ma era davvero come se fossimo su pianeti diversi".

Ricorda quando le consegnarono il Globo d’oro?

"Ero a Cambridge, a cercare di imparare meglio l’inglese, quando mi dettero la notizia. Dovevo volare a Taormina. Arrivai al Teatro antico senza potermi neppure cambiare, con i jeans e gli stivaloni da cowboy, gettato sul palcoscenico, con un applauso immenso. L’applauso che ha cambiato la mia vita".

È stata come una laurea.

"Esattamente. Poi ho fatto tanti film, L’importante è amare con Romy Schneider, per esempio, che considero uno di quelli più importanti. Ma certo in quel momento mi è cambiata la vita. Ho potuto alternare film di qualità e film di cassetta: gli ultimi mi hanno permesso di comprare una casa a Roma, e non mi pento di nessuno dei film che ho fatto".

Adesso che cosa fa?

"Ho lasciato Roma, vivo nell’entroterra veneto. Ho il mio orto, i miei cani, tre collie e un pastore australiano; ho i miei cavalli. Mi piace stare all’aria aperta".