Davigo, la parabola dell’accusatore Anche l’ex pm finisce indagato

La Procura di Brescia: "Rivelazione del segreto d’ufficio nel caso Eni". Il suo avvocato: "Profonda perplessità"

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di Andrea Gianni

Il grande accusatore che, alla fine della sua carriera, finisce sotto accusa. Quasi una nemesi giudiziaria per Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani Pulite cui si attribuiscono frasi come "Non ci sono troppi prigionieri, ci sono troppe poche prigioni". Il nome del magistrato, ex consigliere Csm, è finito nel registro degli indagati a Brescia, per rivelazione del segreto d’ufficio. "Nutro una perplessità profonda sui fatti contestati", dice il suo legale Francesco Borasi.

Lo sfondo è lo scontro ai vertici della Procura di Milano, innescato dalla gestione dei procedimenti Eni-Nigeria e “falso complotto Eni“ e del caso dei verbali dell’avvocato pluri indagato Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria, in grado di condizionare toghe e apparati dello Stato. Accuse incrociate, veleni e una matassa ingarbugliata che vede allungarsi la lista dei magistrati sotto inchiesta. Nell’aprile 2020, il pm di Milano Paolo Storari (anche lui indagato per rivelazione del segreto d’ufficio) consegnò a Davigo, all’epoca consigliere Csm, i verbali segreti, in file Word non firmati, che da dicembre 2019 a gennaio 2020 Amara, ex avvocato esterno Eni, aveva reso sulla presunta loggia: controverse dichiarazioni che per Storari andavano chiarite rapidamente, anziché a suo avviso relegate "in un limbo di immobilismo investigativo dai vertici della Procura".

Da un lato, Storari avrebbe voluto iscrivere nel registro degli indagati sei nomi, Amara compreso, per associazione segreta, per poi avviare intercettazioni. Dall’altro il procuratore Francesco Greco avrebbe tenuto una linea più morbida. Quei verbali inviati da Milano a Roma sono approdati sulle scrivanie di alcuni giornalisti e del pm Nino Di Matteo, altro componente Csm. A spedirli, a suo dire all’insaputa del capo, sarebbe stata Marcella Contraffatto, ex segretaria di Davigo, anche lei indagata. Intanto nell’inchiesta aperta a Brescia – procura competente per i reati che coinvolgono magistrati a Milano – sono iscritti anche i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per non aver depositato prove raccolte da Storari nel processo sulla presunta maxi tangente Eni in Nigeria, concluso con 15 assoluzioni. Sul caso dei verbali segreti, Davigo ha spiegato che Storari gli aveva "segnalato una situazione critica e dato il materiale necessario per farmi un’opinione".

Un ginepraio nel quale il 70enne Davigo, ormai in pensione, si è ritrovato al termine di una carriera iniziata nel 1978, giudice al Tribunale di Vigevano. Da pm a Milano si è fatto le ossa occupandosi di reati societari e finanziari, ha legato il suo nome a operazioni contro la “mafia dei colletti bianchi“ e le infiltrazioni di Cosa Nostra. Ma la ribalta, anche mediatica, è arrivata con Tangentopoli: nei primi anni ’90 faceva parte del pool, guidato da Francesco Saverio Borrelli, autore delle inchieste che terremotarono la classe politica dell’epoca. Un grande accusatore che a cavallo degli anni ’90 e 2000 si scontrò con Berlusconi, con il procedimento nato dagli esposti sul presunto complotto da parte del pool per far cadere il suo primo governo poi archiviato dal gip di Brescia. Intanto Davigo si è guadagnato la fama di magistrato integerrimo e intransigente, veicolata anche da frasi divenute celebri: "Non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti".