di Anna Giorgi MILANO Piercamillo Davigo, ex consigliere del Csm, ma soprattutto uno dei grandi protagonisti della stagione di Mani Pulite, esattamente trent’anni dopo avere mandato alla sbarra mezza Italia corrotta, in una sorta di nemesi storica, finisce alla sbarra con l’accusa di "rivelazione del segreto d’ufficio". Il caso è quello controverso dei verbali resi dall’avvocato Piero Amara sull’esistenza della "Loggia Ungheria", una presunta associazione massonica in grado di condizionare l’operato della magistratura e di altri organi dello Stato. Il rinvio a giudizio è stato disposto ieri dal gup di Brescia, Federica Brugnara: lo stesso giorno in cui 30 anni fa veniva arrestato il "mariuolo" Mario Chiesa, provocando il terremoto che spazzò via la Prima Repubblica. Il giudice ha accolto la tesi secondo la quale nella primavera del 2020 Davigo avrebbe fatto circolare i verbali coperti da segreto investigativo resi dall’ex avvocato Eni Piero Amara che gli aveva consegnato il pm Paolo Storari in cui lamentava lo scarso dinamismo del procuratore Francesco Greco e della sua vice Laura Pedio nell’indagare su verità e calunnie contenute nelle deposizioni di Amara. Secondo il capo d’imputazione, Davigo, senza alcuna ragione ufficiale, ma "al solo scopo di motivare la rottura dei propri rapporti personali con il consigliere Sebastiano Ardita, avrebbe consegnato copia degli atti segreti al consigliere del Csm Giuseppe Marra, dopo averlo informato del loro contenuto, incaricandolo di custodirli e di consegnarli al comitato di Presidenza, qualora glieli avesse richiesti". Avrebbe riferito il contenuto dei verbali anche a un altro componente del Csm, Ilaria Pepe, per l’accusa, "sempre in assenza di una ragione ufficiale, ma per suggerirle di prendere le distanze dal consigliere Ardita". Una volta andato in pensione Davigo, gli atti segreti sarebbero poi finiti nelle mani anche della sua ex segretaria, Marcella Contraffatto. Sempre come rivelazioni di segreto sono poi contestate a Davigo quelle ...
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