Sabato 20 Aprile 2024

Dare risposte a chi chiede solo la verità

Piero

Fachin

Era il suo orgoglio, il suo gran bel successo. Luca Attanasio per suo padre Salvatore era il sole. La dimostrazione (vivente) del fatto che si può, volendo si può. Si può emigrare da Taranto per Milano, si può lavorare con tenacia e far fatica, si può insegnare ai tuoi ragazzi il valore dello studio. Si può vederli crescere, affermarsi, diventare diplomatici e poi ambasciatori. Si può poi vederli sposare una donna magnifica, con cui avere tre bimbe. E chissà cos’altro si sarebbe potuto fare, se solo Luca Attanasio non fosse stato ammazzato da una sventagliata di kalashnikov sparata da un gruppo di briganti, in Congo. Era il 22 febbraio del 2021, lui non aveva ancora compiuto 44 anni. Vita, e sogni, svaniti in un istante.

Ora, dopo una cosa così, dopo un dolore così, può davvero farsi fortissima la tentazione di affidare alla vendetta la propria sete di giustizia. E chissà dunque cosa deve aver provato quest’uomo nel sapere che per le sei persone accusate dell’omicidio è stata chiesta la pena di morte. Invece, invece no. La pena di morte? Folle, inutile, insensata, ha ribadito. Da due anni Salvatore Attanasio chiede di capire. Ovvero chiede una ricostruzione processuale che consenta di stabilire esattamente cosa è accaduto, cosa non ha funzionato, la catena delle responsabilità. Eppure l’udienza preliminare del procedimento contro i due funzionari Onu accusati di non aver garantito la sicurezza è fissata per il 25 maggio. Vuol dire a due anni, tre mesi e tre giorni dall’esecuzione dell’ambasciatore. E il processo, se mai ci sarà, rischia di durare un tempo insopportabile per chi ogni giorno soffre il vuoto della perdita. E allora, proviamoci. Proviamo, almeno questa volta, a dare una risposta rapida, seria e definitiva a un padre che rifiuta la violenza e cerca verità. È una questione di dignità.