Daniela Molinari rifiutata due volte dalla madre. "Ma così ora mi condanna a morte"

Como, la disperazione di un’infermiera malata di tumore dopo l’appello a chi l’aveva abbandonata in fasce. Per una terapia sperimentale serve il Dna della donna che però ha negato l’aiuto alla figlia

Daniela Molinari da piccola e, nel riquadro, in una foto recente

Daniela Molinari da piccola e, nel riquadro, in una foto recente

Prima l’appello disperato, ora il rifiuto. Daniela Molinari, malata di tumore, vive a San Vittore Olona, un paese del Milanese. Ha cercato con tutte le forze di rintracciare la madre biologica che 47 anni fa, subito dopo il parto, la abbandonò all’orfanotrofio della frazione comasca di Rebbio.

La speranza della donna, che a sua volta è mamma e nonna e lavora come infermiera psichiatrica all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, è ottenere un prelievo di sangue da chi la generò: questo consentirebbe ai medici di provare a salvarle la vita con una terapia sperimentale, ricostruendo la sua mappa genetica. Colpo di scena: "Mia madre è stata trovata ma si rifiuta di aiutarmi. Io mi auguro con tutto il cuore che ci ripensi perché così mi sta condannando a morte. Sta condannando le mie figlie a restare senza madre e il mio nipotino a crescere senza nonna".

Come ha saputo del rifiuto?

"Premetto che io non so il suo nome, perché è protetta dall’anonimato. È stata rintracciata dal Tribunale per i minorenni di Milano e al telefono ha negato il suo aiuto, così mi è stato riferito lunedì. Ho saputo che il giudice che le ha parlato le ha assicurato la riservatezza e ha garantito che non avrebbe dovuto pagare nulla né avrebbe avuto ‘fastidi’. Eppure si è rifiutata, dicendo che non vuole sapere più niente di me e che non vuole rivivere eventi dolorosi del passato. Io non mi capacito di come abbia potuto dire di no: non pretendo di incontrarla, voglio solo tentare tutte le strade che potrebbero salvarmi la vita. A detta dei medici ne resta una sola: la terapia sperimentale, perché il mio cancro resiste alle cure tradizionali".

Che tipo di tumore ha?

"Ho iniziato con un cancro al seno che purtroppo ha generato metastasi estese ai linfonodi".

Davvero servirebbe solo un semplice prelievo di sangue?

"Sì. Basterebbe che mia madre acconsentisse a un prelievo: il suo sangue è indispensabile per la cura. La parte con il mio Dna c’è, manca l’altro pezzo di puzzle, che può arrivare solo dai genitori biologici. Alla madre si è riusciti a risalire tramite la cartella del parto mentre il nome del padre non è da nessuna parte".

Quando ha saputo del rifiuto, qual è stato il suo primo pensiero?

"Ero incredula. Poi ho provato rabbia e amarezza. Io non riuscirei neppure a guardarmi allo specchio: il suo ‘no’ è una sentenza di morte. È come se il dolore di una persona avesse più importanza della vita di un’altra. Lei ha 66 anni, è lucida, la sua è una scelta consapevole. Questo mi fa molto male e alimenta la mia convinzione che sia necessario intervenire a livello legislativo, per tutelare la vita. Ci vorranno anni di battaglie. Per me non c’è abbastanza tempo ma se in futuro qualcuno si troverà nella mia situazione (e mi auguro di no), vorrei che il suo diritto alla vita prevalesse sul diritto al rifiuto di un’altra persona".

Lei è mamma e nonna?

"Sì, sono mamma di una ragazza di 28 anni e di una bambina di 9. In più sono nonna di un nipotino di 6 anni che comincerà la scuola a settembre: mi piacerebbe esserci. Io lotto per la mia famiglia".