Mercoledì 24 Aprile 2024

Dall’"inutile strage" alla crisi cubana Se il Papa parla per far tacere le armi

L’appello di Bergoglio a Putin e Zelensky rievoca i discorsi di altri pontefici come Benedetto XV e Giovanni XXIII

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di Francesco

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Le accorate parole di papa Francesco contro la guerra russo-ucraina pronunciate domenica scorsa durante l’Angelus e l’appello a Putin e a Zelensky di far cessare le armi e aprire un tavolo negoziale rientrano in una strategia politico-pastorale che il pontefice sta portando avanti da tempo e che considera – lo ha ribadito più volte in questi ultimi tempi e in più sedi – l’attuale conflitto una vera e propria terza guerra mondiale. Esse, peraltro, sono il frutto di un modificato rapporto della Chiesa, come istituzione, e dell’idea della guerra, come strumento di risoluzione dei conflitti: un rapporto che, ora, tiene conto dei cambiamenti intervenuti, tanto a livello dottrinario quanto a livello geopolitico, nel corso della storia contemporanea.

Ormai tramontati i tempi delle Crociate, delle guerre sante, delle battaglie per la difesa della Cristianità come a Lepanto, delle alleanze e iniziative militari a difesa dello Stato temporale, la Chiesa – e, per essa, il suo capo supremo, il pontefice – ha cominciato a prendere posizione contro la violenza bellica ritagliandosi il ruolo di protagonista, sia pastorale sia politico-diplomatico. Una voce di buon senso e di ragionevolezza che, al di là dei risultati, ha cominciato a farsi sentire, con autorevolezza, soprattutto a partire dal secolo XX, il secolo dei conflitti mondiali, degli autoritarismi e totalitarismi, della guerra fredda, dei conflitti post-coloniali e via dicendo. Una voce che, mettendo da parte il concetto di "guerra giusta", si caratterizzava sempre più, in nome del realismo politico, come espressione di volontà di mediazione e impegno per la costruzione della pace fra i popoli.

Già, alla vigilia della Grande Guerra, assunse valore sintomatico il rifiuto di Pio X di benedire, come gli aveva chiesto di fare l’ambasciatore austriaco, le truppe austro-ungariche dell’imperial-regio governo, rifiuto espresso con una battuta celebre: "Io benedico la pace". Il suo successore, Benedetto XV, in piena guerra, non esitò a denunciare "l’inutile strage" e a perorare la causa della pace sia con l’enciclica Ad Beatissimi Apostolorum, che individuava nel processo di secolarizzazione la causa prima del conflitto, sia con la celebre nota del 1° agosto 1917 ai capi dei popoli belligeranti con la quale invocava "la forza morale del diritto" contro "la forza materiale delle armi" e indicava "l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice" per far cessare la "lotta tremenda in atto".

Poco più di un ventennio dopo, nel 1939, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, toccò a Pio XII il compito, con un radiomessaggio del 24 agosto, di cercare di bloccare la corsa verso la catastrofe sostenendo che "nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra". Le iniziative di papa Pacelli – cui in seguito furono addebitati dai detrattori quei "silenzi" nei confronti del nazismo che erano, in realtà, espressioni di prudenza politica a tutela dei credenti – non si limitarono a questo ma si esplicarono attraverso contatti diplomatici da parte della Santa Sede per promuovere una conferenza di pace che scongiurasse la guerra.

Anche in seguito, a conflitto concluso ma in piena "guerra fredda", la parola del pontefice si fece sentire per condannare la "corsa agli armamenti" e denunciare "la potenza dei nuovi strumenti di distruzione", l’arma nucleare cioè, che rendeva necessario aprire o riaprire il discorso sul disarmo. I successori di Pio XII non furono da meno nell’esorcizzare la guerra e nel sostenere l’idea della pace. Giovanni XXIII, per esempio, durante la crisi missilistica di Cuba del 1962, ebbe un ruolo importante, rivolgendosi direttamente a Krusciov e Kennedy, per evitare che la situazione degenerasse in confronto aperto. Che dire, poi, delle iniziative di Paolo VI per favorire la conclusione della guerra del Vietnam? E di quelle di Giovanni Paolo II per scongiurare nel 1990 l’operazione Desert Storm e, anni dopo, la guerra del Kosovo, prima, e la "seconda guerra del Golfo", poi? E degli ammonimenti di Benedetto XVI a non dimenticare la tragedia della seconda guerra mondiale che era stata "pagina intrisa di violenza e disumanità"?

Si potrebbe proseguire, ma sarebbe superfluo. Papa Francesco si è mosso nel solco dei suoi predecessori. Con una determinazione, e uno stile, che sono suoi. Ma che sono, anche, in sintonia con i tempi moderni.