Dalla Francia nuova linfa ai populisti

Raffaele

Marmo

I voti conquistati dalla destra di Marine Le Pen e Éric Zemmour e quelli ottenuti dalla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon e dagli altri candidati minori delle ali estreme superano il 55 per cento, contro il 35 per cento circa messo insieme da Emmanuel Macron e dagli altri "nani" gollisti e socialisti: dunque, il dato quantitativo, che misura la febbre della "ribellione" o della "protesta" che agita il corpo della Francia profonda, è di plastica evidenza nelle sue dimensioni. E se è vero che qualitativamente si tratta di consensi che provengono da elettorati opposti tra loro, è altrettanto vero che in comune, magari per ragioni contrapposte, c’è una spinta populista e anti-europeista, alimentata forse anche dai timori e dai rischi del conflitto russo-ucraino, di lampante e dichiarata limpidezza.

Ora, a poco vale il classico giochino (un po’ provinciale) di trasporre in chiave nostrana e leggere in salsa italiana i numeri d’Oltralpe. Ma ciò non toglie che vi possa essere una "lettura" da parte dei leader politici italiani tale da influire sulle decisioni o, almeno, sulla "postura" dei partiti via via che ci avviciniamo alla fine della legislatura.

Sotto questo profilo, non sembra doversi preoccupare più di tanto Giorgia Meloni: la rendita di posizione garantita dalla collocazione all’opposizione è di per sé un solido viatico per intercettare il vento francese. Anzi, con il nuovo aplomb atlantista finisce per guadagnare alla causa anche un pezzo di ceto medio moderato.

Opposto l’interesse di Salvini e Conte: se vogliono riprendere parte al gioco populista devono tentare di smarcarsi in fretta dalla maggioranza e di riprendere il ruolo di forze anche anti-sistema prima che sia troppo tardi: dunque, premere sull’acceleratore dell’uscita dall’esecutivo di Mario Draghi, attraverso forme di guerriglia che i due hanno cominciato a praticare. Perché, alla fine della giostra, essere di lotta e di governo alla lunga può non bastare e non funzionare più.