di Gabriele Moroni Ha legato il suo nome a intrighi, segreti, misteri della storia italiana. Misteri che forse Flavio Carboni avrebbe svelato nel libro di memorie che stava scrivendo. Un nome che per mezzo secolo è stato accostato, di volta in volta, alla politica, alla finanza, a banchieri, imprenditori, editori, alla massoneria più alta (l’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Armando Corona) e a quella deviata (Licio Gelli, capo della loggia P2, conoscenza sempre negata), al boss di Cosa Nostra Pippo Calò, all’agente segreto Francesco Pazienza. Per lui come per altri viene coniato il neologismo "faccendiere". Dal tourbillon di inchieste, arresti (il primo nel 1982, in Svizzera), imputazioni a grappoli, detenzioni (brevi), è scaturita una sola condanna definitiva, quella per la bancarotta del Banco Ambrosiano. Un dato da consegnare agli storici. Il suo avvocato, Renato Borzone, ha sintetizzato così la controversa figura del suo assistito: "Non era certo San Francesco, ma neppure il mestatore che descrivono". Nato il 14 gennaio 1932 a Torralba, provincia di Sassari, Carboni cresce sotto l’ala del deputato democristiano Giovanni Pitzalis. Dopo i primi affari, andati male forse per colpa dell’inesperienza, costituisce una serie di società immobiliari e finanziarie. Entra nell’editoria con il 35% del pacchetto azionario del quotidiano "La Nuova Sardegna" e come editore di "Tuttoquotidiano". Secondo il suo ex segretario, Emilio Pellicani, Carboni conosce Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, "di sfuggita" nel 1974. Nuovo incontro, in barca, nel 1981. "Sarà lo stesso banchiere - scrivono Gianfranco Piazzesi e Sandra Bonsanti in ‘La storia di Roberto Calvi’ - a chiamarlo al suo fianco, a farne il consigliere, il confidente, persino il consolatore". Calvi tenta, mettendosi in affari con Carboni e Pippo Calò, di salvare il suo istituto che annaspa nel mare dei conti in rosso: un fallimento tanto potente da scuotere anche la finanza ...
© Riproduzione riservata