di Ettore Maria Colombo Al Colle più alto regna "profondo stupore" – che, dal quirinalese, si traduce in "forte irritazione" – per l’interpretazione che è stata data della pdl a prima firma Parrini-Zanda presentata in Senato. Perché? Di che cosa si parla? La pdl, una proposta di legge di rango costituzionale – che abbisogna, dunque, per essere approvata, di una doppia lettura e di una maggioranza di due terzi dei voti, in entrambe le Camere, per diventare legge – è stata formalizzata l’altro ieri e depositata, a palazzo Madama, dai due senatori democrat, peraltro entrambi esponenti di Base riformista. Non certo due senatori qualsiasi: il primo, Parrini, è presidente della Prima commissione Affari costituzionali del Senato, e mente raffinatissima, un asso sui sistemi elettorali (pari solo, per capirci, al deputato e costituzionalista, pure lui dem, Stefano Ceccanti) e l’altro, Luigi Zanda, è stato capogruppo del Pd nella scorsa legislatura, ma gode di forte stima e ascolto, dentro il Pd. I due avevano proposto una cosa molto semplice, ma dalla “doppia lettura“ (politica, non formale): scrivere, in Costituzione, il divieto di rinnovo del mandato del Capo dello Stato e, contestualmente, abolire il semestre bianco, cioè gli ultimi sei mesi del settennato in cui questi non può, neppure volendo, sciogliere le Camere in via anticipata. Il paradosso è che la proposta, così formulata, va incontro proprio alle richieste di Mattarella che, più volte, nel corso di quest’anno, ha sollevato entrambi i temi, richiamando anche i discorsi di due suoi predecessori illustri (Antonio Segni e Giovanni Leone) che tali due norme criticavano. Insomma, la pdl appariva, in “prima lettura“, ad adiuvandum delle richieste del Capo dello Stato. Ma la “seconda lettura“ che, in diversi ambienti parlamentari, specie del Pd, area riformista’, era stata fatta correre, era machiavellica quanto ingegnosa. Sosteneva, in buona sostanza, che Mattarella – o, ...
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