Elezioni, a Piombino con l’altoforno si è spenta la passione per la sinistra

Viaggio nella ex roccaforte rossa: dai plebisciti all’astensione

Una manifestazione alla acciaierie di Piombino

Una manifestazione alla acciaierie di Piombino

Piombino (Livorno), 6 settembre 2022 - "Siamo sfiduciati, se ti dovessi dire per chi voto, oggi non saprei rispondere. Ma quale è la forza politica che veramente tutela i lavoratori e gli operai come noi?". Valerio è un dipendente delle Acciaierie Jsw, "lo stabilimento", come lo chiamano a Piombino, una parola pronunciata con rispetto, quasi come si parlasse di una cattedrale. Perché, nel bene e nel male, la fabbrica ha segnato la storia di questa comunità, che dall’epoca degli Etruschi lavora il ferro e che negli ultimi 150 anni è stata una delle realtà industriali più importanti d’Italia. Ma la crisi, che ha colpito duro fermando l’altoforno e lasciando attivi solo i laminatoi da cui escono le rotaie per mezza Europa, ha cambiato tutto, anche la politica.

Fino a pochi anni fa Piombino era una roccaforte rossa: il Pd, erede del patrimonio di consensi del vecchio Pci, alle elezioni politiche viaggiava sempre intorno al 50% e lo superava talvolta arrivando anche al 65%. Le Acciaierie erano il cuore della sinistra piombinese. Le cose cambiarono con lo spegnimento dell’altoforno, nella primavera 2014, e lunghi mesi di cassa integrazione. Alle politiche del 2018 la Lega prese quasi il 20%, i Cinque Stelle il 27%e il Pd, pur restando il primo partito in città, scese al 30%. Un crollo parzialmente recuperato alle regionali di due anni fa con i Democratici al 41%.

Che cosa succederà il 25 settembre? La sensazione è che ci sarà una forte astensione. Il Pd probabilmente non riuscirà ad avere i risultati del passato, ma neppure la destra di Giorgia Meloni sembra destinata a sfondare. "I leader politici – commenta Davide Pallini della Rsu Uilm – non parlano più di Piombino se non per il rigassificatore. Un progetto che non appassiona gli operai sia che si faccia, sia che non si faccia.

Le Acciaierie sembrano essere scomparse dai radar anche se ci sono ancora più di 1500 dipendenti. Gli operai si sentono abbandonati". "La Lega – ricorda Simone Martini (Rsu Fiom) – venne con Salvini nel 2018 a fare un comizio davanti all’ingresso delle Acciaierie, in quell’occasione si parlò di nazionalizzazione. Ma in questi anni il ministro Giorgetti non ha mai affrontato il problema rinviando il confronto con i sindacati. Se in passato poteva esserci una parte di operai che votava Lega, non so se il fenomeno si potrà ripetere".

La situazione cambia leggermente alla Magona, la fabbrica di laminati piani zincati e preverniciati, 500 dipendenti. Dal punto di vista politico c’è più interesse e confronto, tuttavia l’incertezza sugli orientamenti generali è il dato di fondo. "Oggi – spiega Claudio Bartolommei della Uilm – la fabbrica è molto cambiata, non è più un universo a parte come forse lo era in passato.

Non c’è più un partito dei lavoratori e il voto si divide in base alle scelte personali in modo che potrei dire quasi laico". E Piombino, indipendentemente da chi vincerà, non si aspetta molto dal nuovo governo: "Si sono ricordati di noi solo perchè il porto faceva comodo risolvere il problema del gas".