"Dagli anni di piombo a quelli del Covid Il disagio esistenziale dei giovani"

Vittorio Nocenzi (Banco) ripubblica un disco del 1976: "Ma i ragazzi di oggi non si siedono più attorno a un tavolo, chattano"

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di Sandro Neri

 

Il contesto, le vicende sullo sfondo sono diversi: la lotta armata, gli scontri nelle università occupate, la crisi delle ideologie allora; i No Vax in piazza, la violenza dei ragazzi delle periferie, i danni della Dad e del distanziamento sociale oggi. "Ma c’è un filo sottile che lega i giovani del 1976 a quelli di adesso: ed è il disagio esistenziale", osserva Vittorio Nocenzi, 70 anni, compiaciuto, nell’analizzare le nove tracce del disco, della singolare contemporaneità di ’Come in un’ultima cena’. L’album del Banco del Mutuo Soccorso, pubblicato originariamente nell’ottobre 1976, è da oggi di nuovo nei negozi in una stampa in vinile colorato a 180 grammi, ricavata dai master originali. "L’ultima cena, quella del Vangelo come quella dei protagonisti del nostro disco – precisa Nocenzi, che del Banco è fondatore, autore di musiche e testi (questi con Francesco Di Giacomo) e tastierista –, è sempre un momento di verità. Quello in cui questa va affrontata, senza procrastinare oltre il confronto. Noi l’abbiamo fatto 46 anni fa, con lealtà e realismo; oggi è tempo che i giovani facciano altrettanto. Con una difficoltà in più. Perché i ragazzi di oggi non si siedono intorno a un tavolo, come facevamo noi, ma si limitano a chattare".

Chi erano i ragazzi seduti al tavolo allora?

"Idealmente, noi sei del Banco. In rappresentanza, però, dei giovani della nostra generazione, incarnati da un normale ragazzo del nostro pubblico e dai suoi amici. Immaginiamo che li veda a cena per chiedere loro aiuto. Sta male, vive un disagio crescente, esistenziale, dovuto alla crisi dei valori in cui si era identificato e alle profonde trasformazioni sociali intorno a lui".

L’album è la fotografia di un momento particolare della nostra storia recente.

"Un momento di fuoco, di scontri violentissimi come quello all’Università La Sapienza di Roma, fra studenti di filosofia e di legge, di cui sono stato testimone. Scontri non solo ideali ma anche fisici. Al centro, le pulsioni di un movimento giovanile che voleva essere alternativo al conformismo di chi gestiva il potere e che cercava valori diversi da quelli del consumismo. Si viveva pensando. E le scelte avevano per ognuno un grande significato. Ed è quello di cui parla il nostro album".

Non finì tutto bene, però.

"Il 1976 è un anno che fa da spartiacque. Da un lato tanta voglia di impegno, dall’altra la decisione scellerata di chi sceglierà la lotta armata. Era un’epoca di grandi utopie sfociata però nel deserto del nostro presente".

Da cosa nasce il disagio dei giovani di adesso?

"Oggi l’individuo non è considerato prezioso in quanto essere pensante, ma perché consuma. Si può ancora sognare, pensare di cambiare. I giovani hanno la possibilità di farlo, perché hanno passione".

Il protagonista di ’Come in un’ultima cena’ ce la fa.

"È circondato da personaggi non sempre positivi, ritratti nei vari brani. Ci sono Il Ragno, l’intregalista che parla tramite slogan, Mida il guaritore, Giovanni, che è un ragazzo buono ma incapace di sciogliere i dubbi dell’amico. Però c’è il delfino che gli svela come trovare dentro se stessi la forza per non affogare. Per preservare la propria identità".

Un consiglio ancora attuale?

"Bisogna raddrizzare la barca o distruggeremo il nostro futuro. Una rete informatica per comunicare o una carta per fare shopping non bastano. Serve l’anima. Perché è lì che abitano i sogni, le speranze, le passioni. Ed è da lì che può partire un nuovo umanesimo, cioè la voglia di costruire il futuro".

Il primo brano, ’A cena per esempio’, si chiude con una frase non così ottimista: "Fuori nasce il giorno e noi si muore". Un riferimento al punk che con la sua carica di sarcasmo e disperazione uccideva i vecchi leoni del rock?

"Detto oggi, potrebbe starci. Ma noi lì non pensavamo alla musica. Quando nasce, l’alba porta con sé la speranza di un nuovo giorno. Quindi la possibilità di vivere nuove esperienze. In quel momento invece portava solo l’ennesima giornata di tensioni, con gli stessi problemi e le stesse indecisioni. Altro che fantasia al potere...".

A maggio il Banco festeggerà, con la nuova formazione, i 50 anni dal suo debutto discografico. Cosa bolle in pentola?

"Un concept album, liberamente ispirato all’Orlando Furioso. E non a caso. Perché il nostro primo album, il Salvadanaio, si apriva proprio citando Ludovico Ariosto. È da lì che ripartiamo. L’album si intitola ’Le forme dell’amore’. Il nostro viaggio in musica attraverso una galleria di personaggi e di storie, specchio di alcune declinazioni del più nobile fra i sentimenti".