Giovedì 18 Aprile 2024

Da Bari a Nizza con sosta a Palermo Sulle tracce del killer tra complici e misteri

Il 21enne tunisino dopo l’arrivo col barcone è stato 15 giorni da un parente in Sicilia. Le procure italiane indagano sui contatti

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di Giovanni Serafini

Come ha fatto Brahim Aoussaoui – il tunisino 21enne che giovedì mattina ha ammazzato a coltellate due donne e il sacrestano della basilica di Notre Dame a Nizza – a lasciare indisturbato l’Italia dopo essere sbarcato a Lampedusa? La procura di Bari ha aperto un fascicolo per associazione terroristica. Gli investigatori italiani e francesi stanno ricostruendo i movimenti del giovane; sbarcato a Lampedusa con altri 20 connazionali il 20 settembre, è stato identificato, sottoposto al tempone e trasferito sulla nave Rhapsody per la quarantena, come previsto dai protocolli sanitari. La nave ha fatto quindi rotta verso Bari. Concluso il periodo di sorveglianza, Brahim è stato sottoposto all’ultimo tampone, con risultato negativo. L’8 ottobre viene portato in un centro di migranti e siccome non risultano segnalazioni penali nei suoi confronti il prefetto di Bari emette un decreto di respingimento con l’ordine di lasciare entro 7 giorni il territorio italiano e rientrare in patria. Ma Aoussaoui, come sappiamo, si guarda bene dal tornare a Tunisi. Va a Palermo, dove secondo gli investigatori viene accolto per due settimane da un parente. È apparentemente tranquillo, nulla lascia presagire le sue intenzioni.

Il 25 ottobre lascia la Sicilia e punta verso la Francia. Attraversa il confine quasi certamente a Ventimiglia. Come mai non viene controllato né fermato? Chi erano i 20 compagni che hanno viaggiato con lui su un barchino da Tunisi e Lampedusa? Qualcuno di loro, o altri con cui è stato in contatto sulla Rhapsody, lo ha accompagnato verso Menton e poi a Parigi? È su questi punti che si concentrano le indagini incrociate della procura di Bari, di quella di Palermo e della polizia francese. Intanto la polizia francese ha fermato due uomini, sospettati di aver fiancheggiato Brahim. Mentre l’attentato di Nizza è stato rivendicato dal presunto gruppo terroristico tunisino ‘Al Mahdi’: "Brahim è uno di noi".

La sera di mercoledì 28 ottobre, vigilia dell’attentato, Brahim telefona da Nizza alla madre, che vive a Thvna, nel governatorato tunisino di Sfax: risulta dalle analisi dei due cellulari di cui era in possesso. "Mi ha mandato un selfie che aveva scattato sui gradini della chiesa. Diceva che avrebbe passato lì la notte", racconta il fratello. "L’ho rimproverato per essere andato in Francia visto che là non conosce nessuno e non parla nemmeno il francese", dice la madre.

La mattina di giovedì 20 una telecamera di sorveglianza all’ingresso della stazione di Nizza lo inquadra alle 6.47. Un’ora e mezza dopo, alle 8.13, la stessa telecamera inquadra Brahim che esce dalla stazione. Si è cambiato, ha un giubbotto e delle scarpe diverse. Un quarto d’ora più tardi, alle 8.29, il killer entra nella chiesa di Notre Dame e compie il massacro: armato di un coltello con una lama di 17 centimetri sgozza una delle due donne, uccide il sacrestano, quindi accoltella ferocemente l’altra donna, che riuscirà a scappare e a rifugiarsi in un bar, dove deciderà subito dopo.

Avvertiti da un passante che ha sentito le grida, alcuni vigili urbani (a Nizza da pochissimo tempo hanno il diritto di portare delle armi) irrompono nella chiesa e puntano una pistola elettrica contro il giovane, che urla ripetutamente "Allah Akbar" e tenta di gettarsi su di loro. Colpito da una decina di proiettili Brahim crolla a terra gravemente ferito: trasferito all’ospedale, è tuttora tra la vita e la morte. Nel suo zaino i vigili trovano un Corano, due telefoni e due coltelli.