Giovedì 25 Aprile 2024

"Cristiani perseguitati. E l’Occidente se ne frega"

Louis Sako, patriarca di Babilonia: Usa ed Europa pensano ai loro interessi "Per colpa delle guerre e di Saddam i fedeli oggi sono meno di 500mila"

Il patriarca di Babilonia  Louis Sako

Il patriarca di Babilonia Louis Sako

"L’Occidente se ne frega della condizione dei cristiani in Iraq e, più in generale, in Medio Oriente. Da secoli testimoniamo la nostra fede col sangue del martirio in un clima di grande indifferenza". Trasuda amarezza e sdegno la denuncia del patriarca di Babilonia dei caldei – la massima autorità della comunità cattolica di rito orientale con sede a Baghdad –, il 72enne Louis Sako. Nell’ultimo ventennio i cristiani iracheni sono passati da 1,6 milioni di fedeli a poco meno di 500mila, complice l’embargo internazionale contro la dittatura di Saddam Hussein, l’invasione statunitense nel 2003, il settarismo e l’azione terroristica dell’Isis, fenomeni che, a intensità diversa, hanno seminato morte, persecuzioni e la fuga di migliaia di famiglie in Libano, Giordania e Turchia. Nell’Iraq instabile e martoriato domani atterrerà papa Francesco, primo Pontefice della storia a visitare la regione. Ad accoglierlo, nella sua prima uscita internazionale da inizio pandemia, ci sarà proprio il cardinale Sako che guarda con speranza al viaggio apostolico fortemente voluto dal vescovo di Roma, nonostante l’insicurezza dell’area – stavolta Bergoglio si muoverà a bordo di un’auto blindata – e la minaccia del Covid.

Patriarca, quale è il senso della visita del Papa?

"Il significato è duplice. In primo luogo si vuole affermare l’urgenza per tutta la popolazione della pace, della stabilità politica e del rispetto per la vita, nell’ottica del superamento di ogni logica di odio etnico o religioso. A questo messaggio se ne aggiunge un secondo, diretto ai cristiani, perché recuperino la fiducia e insistano nella costruzione di ponti. Serve un dialogo interreligioso serio. Dobbiamo avere pazienza: il male non ha futuro, il bene sì".

Attualmente come è la condizione dei cristiani in Iraq?

"La situazione sta migliorando. Non sentiamo più sermoni di odio ai nostri danni, si è istituito anche un comitato cristiano-islamico. Sono certo che la visita del Papa contribuirà a cambiare ulteriormente il contesto politico e sociale. La gente lo attende con ansia. Lo vedrà pregare, lo ascolterà e questo è già di per sé un elemento di rottura per chi da decenni è abituato al fragore dei bombardamenti".

La minaccia dell’Isis è ancora reale?

"Ci sono individui radicalizzati, ma le misure di sicurezza sono ferree. Il Papa non corre rischi".

Lei, anche di recente, non è stato tenero col ruolo giocato da Washington nello scacchiere del Medio Oriente.

"Gli Stati Uniti e altre potenze occidentali in questi ultimi decenni hanno fomentato conflitti e tensioni per i loro interessi economici, a partire dal traffico di armi. Parlano di diritti umani, ma non per gli abitanti degli altri paesi e non intervengono certo per salvare i cristiani. Dopo l’invasione del 2003 da parte degli americani, l’esercito iracheno è stato distrutto, col risultato che nel decennio successivo ha regnato l’anarchia. Migliaia di cristiani sono stati uccisi".

Per Francesco le religioni sono fattori di unione. Non a caso visiterà Ur, la terra madre di Abramo.

"Si tratta di un momento centrale del viaggio che vuole dimostrare come la fratellanza sia possibile. Un altro appuntamento assai atteso, oltre alle messe nella cattedrale di Baghdad e allo stadio di Erbil, è quello a Najaf, dove il Papa incontrerà il leader sciita Ali al Sistani. La maggioranza qui professa questa confessione dell’islam".