Inchiesta Covid, la super perizia di Crisanti: "Un calvario e un imperativo morale"

Il microbiologo e senatore Pd ha firmato la consulenza per la Procura: "Il mio non è un atto di accusa. Dalle vittime innocenti la forza per ricostruire la catena decisionale"

«Restituire agli italiani la ricostruzione dei fatti sui processi decisionali che hanno portato a determinate scelte: la mia perizia non è un atto di accusa, ma una mappa logica di ciò che è successo nei primissimi giorni dell’emergenza Covid". Così il senatore Pd e microbiologo Andrea Crisanti, autore della maxi consulenza sulle morti evitabili nell’indagine della procura di Bergamo sulla gestione della crisi. Diciotto mesi di lavoro, che "hanno assorbito quasi ogni istante della mia vita: penso di aver dato il massimo che potevo dare, in termini di dedizione e competenze professionali".

Andrea Crisanti
Andrea Crisanti

Senatore Crisanti, come si è svolto il suo lavoro per la Procura?

"Abbiamo utilizzato dati che ci hanno permesso di ricostruire puntualmente, giorno per giorno, la dinamica dell’epidemia e modelli matematici altamente predittivi che ci hanno permesso di trarre conclusioni. È stato un lavoro che ha richiesto la lettura di decine di migliaia di pagine e centinaia di provvedimenti. Questa consulenza è un unicum nel suo genere, abbiamo trattato la pandemia come fosse una catastrofe naturale, facendo calcoli a tappeto per non escludere nessuna possibilità tra cause e concause. Ho cercato di dare una risposta che fosse la più asettica e scientifica possibile".

Se fosse stata istituita prima la zona rossa in Val Seriana si sarebbero risparmiate migliaia di vite?

"Lo dirà la procura. Se in lockdown si salvano vite? Questa è una ovvietà".

Le evidenze scientifiche nel primo periodo della pandemia erano così consolidate da far decidere le autorità senza il minimo dubbio?

"Questa risposta la darà la magistratura".

Quanto ha influenzato nel disastro italiano il mancato aggiornamento e la mancata attuazione del piano pandemico, con l’assenza per troppo tempo di guanti e mascherine?

"Sono conclusioni che spettano ai giudici. Io ho letto il piano pandemico italiano e quello di altri Stati, ricostruendo le disposizioni, poi la procura ha tratto le sue tesi".

I Paesi che hanno applicato il piano pandemico hanno avuto risultati migliori?

"Hanno fatto meglio la Corea del Sud, il Giappone, il Vietnam, l’Australia, la Nuova Zelanda, che hanno una forte competenza epidemiologica nel settore delle malattie infettive. Hanno un’ottima logistica, la consapevolezza della popolazione e gli strumenti per affrontare la pandemia".

A chi vuole dedicare il suo lavoro?

"I diciotto mesi in cui ho cercato di dare un contributo alla ricostruzione dei fatti sono stati difficili. Non si passa indenne dal leggere dati sulle morti. Le vittime del Covid mi hanno dato la spinta morale che mi ha permesso di portare a termine la perizia".

Lei, con questa maxi consulenza, gioca una partita ’uno contro tutti’. Un atto di accusa che ha indispettito molti indagati.

"Il mio è un lavoro tecnico, basato su evidenze scientifiche. Non parlo mai di responsabilità e non accuso nessuno".

Per il futuro, nel caso di un’altra pandemia, cosa bisogna fare per non essere impreparati?

"Bisogna arrivare a una sintesi di visioni diverse e opposte che purtroppo hanno trovato l’ostilità in campi politici opposti. Istituire una commissione d’inchiesta sul Covid è una opportunità per arrivare a una verità condivisa, ma non deve diventare uno strumento di parte, usato come una clava per attaccarsi".

Lei ha sempre detto che l’Italia a colori non funziona, mentre la zona rossa funziona. Cosa bisognava fare dopo il lockdown?

"Il lockdown e le zone rosse hanno funzionato alla perfezione, con il contagio vicino allo zero. A quel punto serviva il tracciamento, con migliaia di tamponi al giorno, ma sono emersi i falsi esperti che dicevano: il Covid è morto. E siamo arrivati impreparati alla seconda ondata".