Cremlino isolato Il Nobel si schiera Premiati per la pace gli attivisti anti Putin

Riconoscimento a tre simboli della lotta per la difesa dei diritti civili:. Bialiatski, dissidente bielorusso, l’ong ucraina Center for Civil Liberties. e la organizzazione Memorial, spina nel fianco del Cremlino

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Marta

Ottaviani

Di sicuro, ci sono compleanni migliori. Vladimir Putin compie 70 anni e, oltre a una guerra secondo molti persa, il suo Paese è a pezzi e l’isolamento internazionale, nel giorno che doveva, nei suoi sogni, rappresentare l’apogeo del suo trionfo, si è visto recapitare da Oslo un ‘regalo’ che suona più come uno schiaffo, tanto più che arriva anche nel giorno del 16mo anniversario dell’assassinio di Anna Politkovskaja. Indagato più a fondo, un avvertimento sugli equilibri geopolitici del futuro. Il premio Nobel per la Pace, è andato a tre destinatari, tutti che vanno direttamente o indirettamente di traverso a Mosca. Il primo è Ales Bialiatski, attivista bielorusso, che ha creato la prima ong nell’ex repubblica sovietica, diventando così un grosso nemico per il dittatore di Minsk, Aleksandr Lukashenko.

La seconda è la ong ucraina, Center for Civil Liberties, dedita alla documentazione di crimini di guerra compiuti dai russi, ma anche agli abusi sui diritti umani e abusi di potere. Quasi un avvertimento al premier Zelensky, che se vuole davvero parlare di libertà e democrazia, la deve implementare prima nel suo Paese. Il terzo, è un vero e proprio peso da novanta: la ong Memorial, la più antica in Russia, fondata niente meno che dal Premio Nobel per la Pace 1975, Andreij Sacharov e nota per la denuncia sistematica dei crimini commessi nel periodo dell’Unione Sovietica, in particolare quelli dello stalinismo.

Nonostante le rassicurazioni del tipo ‘non è un premio contro il Presidente Putin, ma a favore dei diritti umani’, a una prima lettura, è fin troppo chiaro che questa assegnazione ha due connotazioni politiche. La prima è più immediata ed è la contrapposizione fra il mondo di ieri e quello (che si spera sia quello) di domani. La differenza fra i dittatori Putin e Lukashenko e chi, nonostante processi, repressione e torture ha deciso di non stare zitto. Il caso di Memorial è quanto mai emblematico.

Nel 2016, il branch internazionale della Ong, che dal 1989 ha aperto uffici in diversi stranieri, fra cui l’Italia, è stata inserita nella lista degli agenti stranieri. Da quel momento, è iniziata una persecuzione giudiziaria e politica che l’ha portata, il 28 dicembre dello scorso anno, a essere liquidata dalla magistratura, pochi giorni dopo il trentesimo anniversario della dissoluzione dell’Urss. Appuntamento importante, ma passato in sordina in una Russia per la quale, almeno negli occhi di chi la comanda, quello fu un grosso errore e che denota come, chi combatte un determinato modello, non goda delle simpatie di Putin. Ma l’assegnazione di questo triplice Nobel ha un altro significato e riguarda il mondo dei decenni a venire. Il baricentro dei conflitti futuri si sta sposando verso est, ossia verso il fronte del Pacifico, ma anche verso Nord, dove la regione artica, a causa dello scioglimento di ghiacci che si consideravano perenni, fra pochi anni rappresenterà una via commerciale preferenziale, dove Mosca, per motivi di lunghezza del confine, avrà una posizione egemone (e questo è uno dei motivi per i quali la Cina continua a mantenere un canale aperto). Sul Mare di Barents affacciano anche Svezia e Finlandia, che di recente sono entrate nel Patto Atlantico e, appunto la Norvegia.

I tre Paesi sono estremamente uniti e tutti tre sono sotto lo stress test russo. Helsinki e Stoccolma hanno mandato il loro segnale. Oslo ieri ha ricordato che l’assertività di Mosca e di chi la pensa come lei (la Bielorussia) è un problema. Zelensky, fa ancora in tempo ad abbracciare un determinato modello. Ma, per il momento, è ammesso con riserva.