Covid, ospedali al collasso come un anno fa. Reparti potenziati? Nessuno li ha visti

Speranza aveva promesso: "Aumenteremo del 115% le terapie intensive". Ma con gli stessi ricoveri del 2020 siamo di nuovo nei guai

Il ministro della Salute Roberto Speranza

Il ministro della Salute Roberto Speranza

L’incubo ritorna. Come la scorsa primavera le terapie intensive e sub-intensive, e i letti di area medica Covid, stanno saturandosi giorno dopo giorno. La percentuale nazionale delle terapie intensive è al 39% e quella delle aree non critiche è al 43%. Ma c’è chi sta peggio. Per le 'intensive’ le Marche sono al 61%, la Lombardia al 59%, la provincia di Trento al 58%, il Piemonte al 55%, l’Emilia-Romagna al 52%, l’Umbria al 48%, il Friuli al 47%, la Toscana al 40%, la Puglia al 39%. Considerato che la soglia di allarme è al 30%, è detto tutto. "Aumenteremo del 115% i posti letto e nelle terapie intensive, assumeremo medici e infermimeri" prometteva il ministro della Salute Roberto Speranza lo scorso maggio. Facendo intravedere un 2021 sereno. Ma la narrazione tranquillizzante non si è tradotta in atti adeguati e gli ospedali, un anno dopo, sono ancora sotto pressione. "È stato un anno difficilissimo – dice oggi lo stesso Speranza – ed è ancora dura. Negli ospedali c’è ancora tantissima pressione". Le misure di un intero anno non sono bastate a ridurla, probabilmente perché, a differenza della narrazione del governo Conte, è stata sprecata l’estate quando si potevano potenziare gli ospedali e la sanità territoriale e lo si è fatto solo in parte.

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L’apparenza, inganna. Basti pensare che stando ai dati ufficiali dell’Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), i letti di terapia intensiva sono passati dai 5.179 pre Covid a uno stratosferico 9.063 oggi (più ulteriori 867 attivabili), con un aumento medio da 8.4 a 15 letti ogni 100 mila abitanti. Possibile? Secondo Agenas, il Veneto è passato da 10,1 a 20,4 letti per 100 mila abitanti, l’Emilia-Romagna da 10,1 a 17,1, la Lombardia da 8,5 a 14, la Toscana da 9,2 a 16,3, le Marche da 7,6 a 15,7, la provincia di Bolzano è balzata da 7 a 18,8, il Lazio da 9,6 a 16,1, la Campania da 5.8 a 10,7.

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Tutti fenomeni? Purtroppo le terapie intensive, con numeri assolutamente analoghi a quelli della primavera scorsa, sono di nuovo in ginocchio. I posti in più non sono bastati a togliere le castagne dal fuoco. Dalle Molinette di Torino, al San Pietro di Roma, dal Sacco di Milano al Sant’Orsola di Bologna la musica è la stessa. Tra gli addetti ai lavori c’è la convinzione che l’aumento dei letti a disposizione ci sia effettivamente stato, ma in realtà sia meno scintillante di quello che dicono le statistiche ufficiali. "Ho parecchie perplessità sui posti letto di terapia intensiva riportati sul sito dell’Agenas su dati del Ministero della Salute – osserva il dottor Carlo Palermo, presidente dell’Anaao-Assomed –. Che ci sia stato un incremento di posti letto è sicuro, ma che sia avvenuto in questi termini ho molti dubbi. Saranno stati attivati al massimo tremila letti aggiuntivi, superando di poco gli 8 mila letti".

"Come può il Veneto – prosegue il presidente del più grosso sindacato ospedaliero – essere passato dai 494 posti letto pre Covid agli attuali mille tondi tondi? E con quale personale, visto che non risultano tante assunzioni?". Non ci sono, dice. "E quindi – conclude Palermo – non metto in dubbio che i novemila posti letto di terapia intensiva siano stati creati, ma credo che non siano realmente operativi. I letti sono tali se sono fatti funzionare dal personale. E il problema è che mancano almeno 3.100 medici e molti più infermieri".

Dal fronte degli infermieri si confermano le perplessità. E si fanno cifre importanti. "Anche a nostro avviso – osserva Silvia Scelsi, presidente dell’Aniarti, il sindacato nazionale degli infermieri di area critica – i posti in rianimazione sono certamente aumentati, ma i letti realmente disponibili sono meno di novemila, probabilmente attorno a 8 mila. Ma quei letti qualcuno deve saperli usare, è un problema di competenze. Manca il personale per farli funzionare tutti. Certo, sono stati immessi degli infermieri, spesso senza esperienza specifica o appena laureati, ma la realtà è che oggi tuttora mancano dai 15 ai 17 mila infermieri di area critica, con i posti letto attuali".

"Si poteva agire con più decisione la scorsa estate – prosegue – ad esempio mantenendo nell’area intensiva gli infermieri che erano stati trasferiti a primavera e che sono stati riportati nelle aree di appartenenza pensando che l’emergenza fosse finita e che serviva si potevano richiamare. Errore grave. Se fossero rimasti nei reparti Covid avrebbero affrontato più preparati l’emergenza che è riesplosa e continua a fare migliaia di morti".

La disperata ricerca di personale specializzato ha poi avuto un altro effetto secondario, quello di ridurre drammaticamente gli spazi per i malati non Covid. "È grave – rincara la dose Palermo di Anaoo Assomed – che sotto la spinta dell’emergenza per reperire anestesisti rianimatori si siano ridotte fortemente le attività delle chirurgie, limitandole spesso alle sole urgenze e che si siano sostanzialmente espulsi migliaia di malati non Covid dai percorsi di cura. Questa è una cosa molto grave che pagheremo successivamente, al pari del blocco della prevenzione, con un aumento della mortalità". Un’altra terribile eredità dell’epidemia di Covid 19.

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