Sabato 20 Aprile 2024

"Covid, ora i positivi non infettano". E i contagi calano

Studio del San Matteo di Pavia: carica virale bassa "Ma non si deve smettere di usare le mascherine"

Coronavirus, ricercatori al lavoro in laboratorio (Afp)

Coronavirus, ricercatori al lavoro in laboratorio (Afp)

In Italia sono arrivati a 238.720 i contagiati dal Coronavirus, tra vittime, attualmente positivi e guariti. Anche ieri su 218 nuovi positivi 143 (il 65,5%) erano in Lombardia. Ma poco meno di due terzi - 83 su 143 - erano "debolmente positivi", ed è una distinzione che l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha chiesto all’Istituto superiore di sanità di introdurre, allegando uno studio condotto dall’Irccs San Matteo di Pavia con l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Lombardia ed Emilia-Romagna, l’ospedale Civile di Piacenza, l’ospedale universitario Le Scotte di Siena e il Policlinico di Milano. Perché i dati presentati dal professor Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo, aprono la discussione su un cambio nelle politiche sanitarie antipandemia, anche al di là delle nuove linee guida dell’Oms.

Soprattutto per i "clinicamente guariti" in quarantena in attesa di un doppio tampone negativo, che nel 1517 per cento dei casi è ancora positivo al primo check. "La domanda – spiega Baldanti – è cosa significhino questi tamponi positivi, molti dei quali a bassa carica virale", un parametro che in laboratorio si stima con la "ciclo soglia" o CT (Cycle Threshold): più è alto il valore di CT, meno Rna virale c’è. I ricercatori hanno analizzato i tamponi di 274 lombardi, emiliani e toscani, guariti ma non negativizzati, con CT superiore a 30, mettendoli in coltura con cellule vive in laboratorio. Risultato: solo 8 pazienti avevano virus in grado di replicarsi e infettarle. Il 3 per cento. Spiega il professor Baldanti che il test diagnostico molecolare "identifica una porzione del genoma del virus, ma non consente di sapere se il genoma è intero o frazionato", come accade nella coda di qualunque infezione nelle cellule "infette e morte, che vengono eliminate dal corpo con tempi variabili". Quel 3 per cento significa dunque "che nella fase di risoluzione della sintomatologia il virus è principalmente non infettante".

"Gli stessi risultati – aggiunge Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri – li abbiamo ottenuti anche noi, il professor Clementi (del San Raffaele, ndr), l’ospedale di Treviso". E dice che i tamponi si devono iniziare a ‘pesare’, cioè "qualificare la positività" stimando il Ct: "Le persone devono sapere se la carica virale è bassissima e probabilmente non contagiosa". Senza però interrompere distanziamento e mascherine, perché "proprio con queste misure siamo riusciti a ridurla" e perché lo studio fotografa un qui e ora che non vale in altri Paesi e potrebbe non valere in ottobre. E non valeva a febbraio e marzo, quando "la Lombardia ha fronteggiato una situazione senza eguali in Italia - chiarisce il presidente del San Matteo, Alessandro Venturi, annunciando a breve i risultati di un altro studio sulla genetica del virus –: qui c’è stata una pioggia di meteoriti"