"Covid meno letale di tante malattie infettive". Il virologo Palù: basta panico

"Gli studi dicono che questo virus è lontanissimo dalla Sars. Si è persa la capacità di valutare i dati per quello che sono". L’appello alla prudenza nei comportamenti. "Temo l’informazione virulenta, la società è uscita con le ossa rotte dal lockdown"

Migration

"Occorre prudenza nei comportamenti, ma senza arrivare a seminare il panico nella gente, come vedo purtroppo fare in alcune trasmissioni. L’appuntamento con il bollettino televisivo dei decessi causa Coronavirus, in questo modo asciutto e martellante, evoca la paura irrazionale del contagio". Giorgio Palù, già presidente della Società europea di virologia, considera controproducente alimentare l’ansia in una società uscita con le ossa rotte da un lockdown prolungato.

Coronavirus, il bollettino del 21 ottobre

Professor Palù, lei virologo di chiara fama misura i toni nei confronti del Covid-19, perché?

"Perché un certo modo di fare informazione è diventato virulento, non per nulla hanno coniato il termine infodemia. Si è persa la ragionevolezza, la capacità di valutare i dati per quello che sono. La gente ormai pervasa dal pessimismo mi ferma per strada e mi chiede se moriremo tutti di questo morbo".

Lei cosa direbbe?

"Gli studi più recenti mostrano che la letalità di questa malattia oscilla tra lo 0,3 e lo 0,6%, lontanissima dalla Sars che era al 10%, inferiore persino alle infezioni da batteri resistenti. Per essere esaustiva l’informazione dovrebbe spiegare, ad esempio, che essere positivo al tampone non significa essere malato contagioso. Questa che abbiamo di fronte non è la peste, non sarà un nuovo vaiolo".

Eppure negli ultimi giorni le ambulanze non fanno altro che scaricare gente al pronto soccorso per casi sospetti o conclamati, le risulta?

"La curva mostra ultimamente un andamento esponenziale, d’accordo. Ma invece di fare proclami evocando futuribili nefasti scenari, facendo credere che prima o poi saremo inesorabilmente tutti infettati, occorre descrivere la situazione oggettiva, e indicare come vogliamo uscirne".

Lo faccia lei.

"In questo momento abbiamo 90mila positivi, con 5mila degenti in ospedale, quindi il 6%. A marzo e aprile i ricoverati erano il 25%. Molti di questi oggi hanno sintomi lievi. Altri in terapia intensiva dopo sei o sette giorni vengono trasferiti perché hanno superato la fase acuta, segno che abbiamo imparato a fare diagnosi tempestive, e le cure sono migliorate grazie a cortisonici, eparine, e un antivirale come Remdesivir, che va somministrato quanto prima. Poi ci sono i ricoveri sociali, anziani accolti in ospedale con Coronavirus anche perché vivono soli, e non hanno nessuno che li accudisce".

Per prevenire la seconda ondata lei sconsiglia di chiudere i battenti a Natale. Dove dobbiamo agire?

"L’impennata dipende essenzialmente dal fatto che otto milioni di studenti si sono rimessi in circolazione, ma i contagi non avvengono nelle scuole che sono tutte molto controllate. Il punto critico sono i mezzi di trasporto pubblico, ma nell’ultimo Dpcm non mi pare che si sia deciso granché. Qui forse la mascherina non basta o devono averla tutti. Vanno favoriti maggiori distanziamenti e ricambi d’aria".

Lei sembra scettico anche sul ricorso massiccio al tampone, un test molecolare che sta ingolfando i laboratori di mezzo mondo, perché?

"Inseguire la catena di contagi diventa problematico, con il 95% di asintomatici mi chiedo che senso abbia risalire ai contatti dei contatti. Considerato il tempo di incubazione dell’infezione, e i tempi di intervento, lo vedo difficile da realizzare, una volta arrivati, il virus è già saltato da un’altra parte".

 

Hai già un abbonamento?
Questo articolo è riservato agli abbonati

Accedi senza limiti a tutti i contenuti di iltelegrafolivorno.it e dei siti collegati.Naviga senza pubblicità!

ABBONAMENTO SETTIMANALE

2,30 € 0,79 € a settimanaper le prime 24 settimane. Addebito ogni 28 giorni.
Nessun vincolo di durata. Disdici quando vuoi
mese
anno