Covid, Mattia: "Macché paziente uno, la diffusione del virus non è colpa mia"

Codogno, il manager primo caso diagnosticato in Italia: "Ho rifiutato l’assistenza psicologica. Il morbo circolava da tempo"

Mattia Maestri, 38 anni, con la moglie Valentina e la piccola Giulia di 4 mesi

Mattia Maestri, 38 anni, con la moglie Valentina e la piccola Giulia di 4 mesi

Tutta l'Italia lo ha conosciuto come il paziente 1, il primo caso di malato di Coronavirus nel nostro Paese. Era lo scorso febbraio, la malattia pareva relegata in Cina. Quando Mattia Maestri, 38enne di Codogno, venne ricoverato per Covid, l’Italia capì che il contagio era arrivato. Eppure questo manager lombardo amante dello sport non accetta di essere considerato il primo pezzo della lunga catena di contagi, ricoveri e dolore che ha scosso la penisola. "Non ho sensi di colpa", spiega lucido. Perché dopo mesi di terapia, cure e riflessioni ha una certezza granitica, supportata anche da pareri sanitari: il virus era già in circolazione da tempo, ben prima di quel 20 febbraio quando lui fu ricoverato all’ospedale di Codogno con una grave polmonite e uno stato sanitario inspiegabile per una persona così giovane, sana e in forma. Il ricordo ricorrente è lo choc per la morte del padre, deceduto il 19 marzo scorso proprio a causa del Coronavirus. Un lutto che è una ferita aperta ma che Maestri ha cercato di rielaborare da solo, con le sue forze.

Maestri, tutti la conoscono come il paziente 1. Quante le pesa questa definizione?

"Sinceramente non credo di essere io la persona che ha portato un virus così pericoloso in Italia. E confesso che non mi pesa essere chiamato paziente 1".

Molti l’hanno definita così però fin dall’inizio. E si parlò a lungo di come si era contagiato...

"La cosa sicura è che sono il paziente che è stato certificato per primo. Ma non penso proprio di essere il paziente numero 1, visto che la malattia era già in giro ben prima del mio ricovero".

Si è mai chiesto perché si sia ammalato? Se può avere contagiato altre persone?

"Quando sono stato ricoverato non sapevamo che il Covid potesse essere in giro anche in Italia. Nella mia testa non ho un ricordo particolare, non ho sensazioni di paura o sensi di colpa".

È stato difficile saltarci fuori?

"Sia al lavoro sia in ospedale mi hanno proposto un supporto psicologico per aiutarmi a superare questo choc. Ho detto di non averne bisogno".

Perché?

"L’importante è avercela fatta, aver superato questa terribile malattia ed essere qui con mia moglie e mia figlia".

Nel frattempo suo padre ha perso la vita per il Coronavirus.

"La cosa più dolorosa della mia terribile vicenda è proprio aver perso mio padre. Quando l’ho scoperto è stato terribile".

Ora lei come si sente?

"Molto bene. Pian piano ho recuperato la mia forma fisica. Dopo quasi cinque mesi dal mio risveglio al San Matteo ho ripreso tutti i venti chili che avevo perso dopo essere stato quasi un mese intubato. Ho ricominciato anche a correre, ma sento di non essere in grado di fare lunghi percorsi".

Sul volto ha ancora i segni del ricovero in terapia intensiva.

"Sì, è quello che rimane del tubo usato in terapia intensiva a Pavia. Il chirurgo plastico mi ha detto che potrei toglierlo con una piccola operazione, per ora però non ho ancora deciso se toglierlo o lasciarlo".

Qual è ora il suo sogno?

"Ne avrei uno sportivo: quello di partecipare a un Ironman (una gara di 3,8 km di nuoto, 180 km di ciclismo e 42,195 km di corsa, ndr). Avevo comprato la bici prima di tutto quello è accaduto. Forse un giorno riuscirò a farlo".

Nei giorni più difficili, quelli che l’hanno costretto a lottare per la vita nel reparto di terapia intensiva al San Matteo di Pavia, Maestri non ha mai mollato, come fanno i migliori maratoneti. Dimesso alla fine di marzo dopo una cura sperimentale con un cocktail di antivirali e farmaci utilizzati per contrastare l’Hiv, Maestri ha avuto sempre al suo fianco la moglie Valentina, la piccola Giulia, la figlia nata quattro mesi fa mentre lui lottava contro il Covid.