Covid, i medici e l'assalto ai pronto soccorso. "Basta, dateci una mano a non collassare"

Napoli, il segretario nazionale della Simeu (medicina d’urgenza): la popolazione rispetti le regole e tenga un saturimetro in casa. Anche l’Alto Adige blocca gli accessi se non si tratta di emergenze. "Serve un filtro, bisogna rivolgersi all’assistenza sul territorio"

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"Non è romanticismo il mio. La medicina d’urgenza ti sceglie. E quando ti sceglie diventa una droga". Mario Guarino, 57 anni a dicembre, è responsabile del pronto soccorso al Cto di Napoli nonché segretario della Simeu, la Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza: "l’unica cui possono iscriversi sia medici sia infermieri", è la rivendicazione scientifico-solidale che anima ogni parola del dirigente campano. "Del resto – aggiunge – qui a Napoli è stato inventato il tampone ’sospeso’: con 18 euro lasci un ’antigenico’ pagato a chi non può permetterselo. Una testimonianza dal basso di come, tutti insieme, possiamo affrontare la pandemia".

Nonostante i pronto soccorso intasati?

"No, evitando di intasarli, con una combinazione vincente di informazione, civismo, attenzione alle regole, sempre quelle, però decisive: lavarsi le mani, indossare la mascherina, rispettare il distanziamento, evitare assembramenti. Poi un saturimetro in ogni casa. E una campagna per spiegare qual è il punto di carenza nell’ossigenazione in cui cominciare ad allarmarsi".

Forse non basta se persino l’Asl di Bolzano intima di recarsi al pronto soccorso solo per emergenze assolute.

"E fa benisssimo, perché nonostante ogni accortezza negli accessi e nei triage oggi i pronto soccorso sono il posto in cui i tempi di attesa sono più lunghi ed estenuanti. Quindi o c’è pericolo di vita o è meglio utilizzare i percorsi selettivi naturali".

Quali?

"Medico di base dalle 8 alle 20, guardia medica dalle 20 alle 8, 118 nei casi di sospetto aggravamento. Un’ecografia del torace dà già buone risposte sulle ipotesi di polmoniti interstiziali e può essere fatta a casa".

Provi lei a prenotare una visita a domicilio.

"Bisogna sempre chiamare, anche se i medici di base fanno indubbiamente fatica a rispondere. Sono vittime di un contratto che ne ha adulterato la figura: con 1.500 pazienti da seguire finiscono per avere le mani sulla tastiera del computer anziché sui corpi dei pazienti. Ma un contributo maggiore all’emergenza debbono pur darlo, sennò noi medici d’urgenza collassiamo".

Come invertire la rotta?

"Subito con una miglior selezione dei casi a monte. Poi con l’eliminazione dei ’tappi’ tra pronto soccorso e reparti".

I suoi colleghi primari non accettano barelle in corridoio?

"E sbagliano. Perché, in emergenza assoluta, il corridoio di un reparto è sempre preferibile a quello di un pronto soccorso dove il personale è continuamente assalito da nuovi casi".

Così, magari, si eviterebbero morti in bagno come al ’Cardarelli’?

"Una struttura e sanitari di altissima professionalità, mi creda. Ma il sovraffollamento oltre un certo limite non può essere gestito. Senza deflussi in specialistica e senza spazi adeguati, si genera l’effetto-imbuto".

Faccia le sue richieste.

"Questa pandemia dimostra che c’è necessità di più posti-letto in urgenza, ma anche di una sistematica riprogettazione degli ambienti. Sennò lo sforzo di medici e infermieri diventa insostenibile. Nonostante l’adrenalina, siamo tutti a rischio di burnout. C’è bisogno di un nuovo modello organizzativo in cui ogni livello della sanità pubblica possa dare solo il meglio".

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