Covid e influenza: 11 miliardi spesi senza riforme vere. Sarà un autunno nero

Gli investimenti in sanità sono cresciuti solo a causa della pandemia. Italia sotto la media europea. Concorsi deserti e fuga dei medici

Un reparto Covid (Ansa)

Un reparto Covid (Ansa)

Nelle stesse ore in cui, a Roma, si presentava il quinto rapporto indipendente sul servizio sanitario nazionale, elaborato dalla Fondazione Gimbe, nel resto del Paese impazzava la polemica sul ‘ponte sanitario’ tra Cuba e la Calabria, l’improbabile accordo che prevede l’assunzione immediata di 497 medici cubani, per coprire i vuoti di organico che affliggono la sanità calabrese. Una coincidenza non casuale, viste le condizioni drammatiche in cui versa, secondo Gimbe, il servizio sanitario nazionale: se, da un lato, il finanziamento pubblico alla sanità è aumentato (+11,2 miliardi negli ultimi 3 anni), dall’altro le maggiori risorse sono state letteralmente divorate dall’emergenza Covid.

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Il risultato è che le "patologie croniche" che compromettevano lo stato di salute del Ssn ben prima dello scoppio della pandemia (carenza di personale, fragilità dell’assistenza territoriale, incapacità di attuare un’unica catena di comando) non sono state minimamente affrontate. La conseguenza: un autunno a dir poco problematico quando, di qui a qualche settimana, si sommeranno inevitabilmente l’epidemia Covid e quella influenzale. Se la rete dei medici di base non sarà in grado di fare da filtro, gli ospedali esploderanno di nuovo.

Il finanziamento pubblico, che si era contratto progressivamente nel decennio 2010-2019, è balzato, dal 2020, da 113,81 a 124,96 miliardi di euro: un aumento di 11,2 miliardi. "Ma se, formalmente, la stagione dei tagli alla sanità può ritenersi conclusa – ha precisato il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – è altrettanto chiaro che il netto rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto dall’emergenza e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il Ssn".

Una mancata intenzione confermata dalle previsioni per il triennio 2023-2025, che stimano una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/Pil che, nel 2025, precipiterà al 6,1%, al di sotto dei livelli pre-pandemia. Nonostante le maggiori risorse investite, il confronto internazionale restituisce esiti simili a quelli dell’era pre Covid: nel 2021, la spesa sanitaria pubblica pro capite nel nostro Paese è inferiore alla media Ocse, mentre in Europa risultiamo tra i Paesi che destinano meno fondi alla sanità. In un quadro oggettivamente complicato, si fa fronte come si può alla pandemia, che non solo non ha mollato la presa, ma presenta già il conto dei suoi effetti a medio-lungo termine: dal ritardo nell’erogazione di prestazioni chirurgiche, ambulatoriali e di screening – con l’ulteriore allungamento delle liste di attesa – all’impatto di nuovi bisogni di salute, in particolare long-Covid e salute mentale.

Una guerra combattuta, ancora una volta, dal personale sanitario, categoria stremata da pensionamenti anticipati, stress e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato. Settori chiave del Ssn, in primis il pronto soccorso, sono sguarniti e i concorsi vanno deserti. A ciò si aggiunge l’altro problema, annoso, del regionalismo differenziato: secondo il rapporto, le maggiori autonomie richieste in sanità da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto rischiano di sovvertire gli strumenti di controllo nazionale, esasperando le diseguaglianze regional. "All’alba della nuova legislatura – conclude Cartabellotta – ribadiamo l’urgente necessità di rimettere la sanità al centro dall’agenda. Rilanciare il servizio sanitario nazionale significa garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Un diritto fondamentale che, silenziosamente, si sta trasformando in un privilegio per pochi".