Covid, accelerano i contagi. Rianimazioni in crisi. Medici: "Rischio crollo fra due mesi"

Raddoppiato il numero dei nuovi ricoverati in terapia intensiva. Gli ospedali costruiti per il Covid quasi inutilizzati ora potrebbero servire

Migration

Dati pessimi. I contagi esplodono da 4.619 a 5.901: +1.284. Pur considerando che i tamponi aumentano di 27.102 rispetto al giorno prima, il rapporto tra test effettuati e positivi riscontrati (il dato chiave) sale dal 7.7% all’8,4%. I morti passano da 39 a 41, ma soprattutto cresce la pressione sugli ospedali, con un preoccupante boom delle rianimazioni, che quasi raddoppiano dai +32 di lunedì ai + 62 di ieri, raggiungendo quota 514 mentre i ricoverati con sintomi calano dai 320 di lunedì ai 255 di ieri (in totale sono 5.076, quasi mille in più rispetto al 9 ottobre). Di contro i positivi in isolamento domiciliare aumentano di 4.112 a fronte dei 3.689 del giorno prima.

Il nuovo dpcm

Le regole sulle cene

Questione da sottolineare, non viene fornito il dato giornaliero sull’età e la presenza di patologie dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva, disponibile solo nei raffronti settimanali ISS e solo a campione, quindi in ritardo e parzialmente. È fondamentale sapere che il 62,9% dei deceduti ha 3 o più patologie e solo il 3,6% ha zero patologie, che l’età media dei deceduti è 81 anni, ma il dato dovrebbe essere pubblicato in tempo reale.

Coronavirus, il bollettino del 14 ottobre

La pressione cresce e i medici lanciano l’allarme. "Con i numeri attuali della pandemia da Covid-19 – osserva Carlo Palermo (foto), segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri italiani, l’Anaao-Assomed – gli ospedali italiani potranno reggere almeno per 5 mesi, al momento la situazione è quindi gestibile, ma se dovessimo assistere ad un aumento esponenziale dei casi come sta accadendo in altri Paesi come la Francia e si passasse dai circa 5mila casi di contagio giornalieri agli oltre 10mila allora il sistema ospedaliero avrebbe una tenuta di non oltre 2 mesi. Si rischia il crollo della prima trincea ospedaliera anti-Covid, perché gli ospedali non sono pronti a far fronte ad un’epidemia esponenziale".

"Già ora – aggiunge – si iniziano a registrare delle criticità a partire dal personale sanitario carente e dalle strutture che non sempre garantiscono percorsi differenziati". Importante è fare alla svelta quello che non si è fatto in questi mesi: adeguare la capacità degli ospedali. Il commissario straordinario Arcuri ha dato il via a un piano per aumentare di 3.443 unità le terapie intensive e di 4.123 quelle subintensive (che al 50% potranno essere trasformate in intensive) ma il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse alla gara pubblica scadeva lunedì e adesso serviranno 10-20 giorni per le aggiudicazioni. Se tutto andasse liscio si potrebbe partire a fine mese per i 1400 cantieri suddivisi in 21 lotti in 457 ospedali e 176 ASL. Per effettuare i lavori, ammesso che partano, serviranno però un paio di mesi: se si fosse conclusa la gara prima dell’estate, li avremmo già pronti. Ma la prima ondata aveva svuotato le terapie intensive e si è sottovalutata la seconda. Che invece è arrivata.

Va detto che per quanto riguarda gli ospedali Covid, le Regioni hanno operato con logiche diverse. Chi, come l’Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana, il Lazio e in parte la Lombardia e il Piemonte selezionando una serie di ospedali esistenti dove realizzare padiglioni riservati al Covid e chi puntando su strutture ex novo, spesso cattedrali nel deserto. Esempio classico il Covid hospital della Fiera di Milano, costato 20 milioni di euro, inaugurato il 31 marzo e chiuso il 9 giugno; il Covid hospital di Civitanova Marche, aperto il 10 maggio e chiuso il 5 giugno; il Covid Hospital di Pescara aperto solo il 14 luglio, i tre Covid center della Campania dei quali solo uno, quello di Ponticelli, è aperto; il Covid hospital ex Ogr ora all’oftalmico a Torino; la clinica Columbus del Gemelli di Roma e l’ospedale da campo regalato dall’emiro del Qatar alla regione Veneto, che troneggia a Schiavonia, nel Padovano, mai terminato.

Tutti si augurano che queste strutture, sinora parzialmente utilizzate o magari aperte in ritardo o ancora tuttora chiuse non debbano più servire. Ma la ripresa di questi giorni non permette di escluderlo.