Così ci tolgono la meraviglia della scoperta

Chiara

Di Clemente

Lui non è cattivo, è che lo programmano così. L’algoritmo che segue e memorizza ogni nostra ricerca su Spotify, iTunes o Google, ogni nostra scelta su Netflix o Disney+ fa il lavoro per cui è stato creato.

Se su Youtube hai cercato il video dei Ricchi e Poveri a Sanremo 2020 e li hai pure guardati mentre intonano in playback Mamma Maria, ogni volta che riaprirai YouTube ti apparirà il video della brunetta con La prima cosa bella, della bionda con Voulez vous danser, al top del deragliamento eccentrico il video di Romina col Ballo del qua qua, ma mai e poi mai la schermata immobile dell’Orchestra Filarmonica di Varsavia con la Sinfonia numero 7 di Penderecki, che magari rischierebbe pure di piacerti. Guai.

L’algoritmo è così: è lo zelante servitore del Mercato internettiano globale, e le regole di tale Mercato – per essere ficcanti ed efficienti in una società che trova conforto nell’esimersi da ogni potenziale problematico confronto con la diversità – impongono omologazione. Il mondo in cui galleggiamo da anni e che rischia di imbalsamare i più giovani, è "se ti piace tizio 1" significa "che ti piace tizio 2", non caio o sempronio: è la chiusura di ogni individuo social in un cerchio sempre più grande e invasivo di roba sempre più simile e uguale. Il meccanismo è: far conoscere (consumare) solo ciò che è attiguo a ciò che già si conosce (consuma). Nell’algoritmo non c’è spazio per la sorpresa, la follia, l’anarchia. Perché scoprirci capaci di accogliere l’inaspettato, scoprirci capaci di meravigliarci serve solo a dare senso alla vita. Non al capitalismo digitale.