Cosa teme il partito della resa

di Raffaele

Marmo

Il nervo scoperto (ma dissimulato) di tutto l’approccio occidentale alla guerra è che nessuno ha dato, fino a oggi, una risposta convincente alla domanda su quale prezzo, come europei e come italiani, siamo disposti a pagare per la difesa indiretta dell’Ucraina dall’aggressione russa.

I governi, almeno fino a oggi, hanno fatto la loro parte fino in fondo: fatta eccezione per qualche Paese, come l’Ungheria, e per un asset-chiave come il gas, nessuno si è tirato indietro sul volume consistente di sanzioni decise contro la Russia.

Non è detto, però, che gli stessi governi abbiano dietro di sé la maggioranza della popolazione dentro le comunità nazionali che rappresentano. O che possano continuare a averla quando si prolungheranno nel tempo gli effetti delle misure adottate. Lo dimostrano, del resto, il voto per Orban o i rischi che sembra correre Macron in Francia.

Dagli imprenditori, costretti a strapagare l’energia e le materie prime o a non poter più esportare come fino a qualche mese fa, alle famiglie, piegate dai rincari record delle bollette e dei beni di consumo, il rischio che il "partito silenzioso della resa" dell’Ucraina, per forza di cose filo-Putin, sia o possa diventare consistente è notevole.

Si tratterebbe di una massa di manovra ampia, che sarebbe gravissimo ostracizzare o, peggio, ghettizzare: andrebbe evitato, insomma, l’errore che ha portato a consegnare a populisti e sovranisti ampie fette di elettorato. Come?

Mettendo a disposizione le risorse adeguate per garantire la continuità economica delle attività produttive e la possibilità di mantenere un decoroso tenore di vita alle famiglie, secondo criteri di equità sociale.

Perché non si tratterà solo di tenere il condizionatore acceso un’ora in meno, come osserva Mario Draghi, ma di fronteggiare una nuova bufera che si sommerà a quelle vissute e in corso per la pandemia e per il caro-prezzi: e allora servirà come minimo la stessa capacità di risposta che c’è stata per il Coronavirus.