Giovedì 18 Aprile 2024

Cosa ci insegna l’accordo sul grano

Andrea

Segrè*

Certo, l’accordo sul grano fra Ucraina e Russia è una buona anzi un’ottima notizia. Non solo per quei paesi, soprattutto nordafricani, che dipendono quasi integralmente dalle importazioni di questo cereale. E dove il rischio “pane” richiama rivolte e flussi migratori della primavera araba. Ma soprattutto, essendo estate e tempo di raccolta, questo corridoio granario umanitario consentirà di svuotare i silos ucraini e riempirli con in nuovo prodotto pur se in quantità assai minore rispetto al passato.

Questa crisi, temporaneamente scongiurata, dovrebbe farci agire almeno su due fronti. Intanto rispetto alla dipendenza delle importazioni e a monte della specializzazione produttiva. È ovvio che in termini di sicurezza alimentare bisogna diversificare, e in campo agricolo rispetto a quello energetico è relativamente più facile. Poi c’è un altro punto (dolente). Uscita la notizia che l’accordo sarebbe stato firmato dai contendenti, non direttamente ma triangolando con la Turchia (il che la dice lunga rispetto a una pace ancora lontana), il prezzo del grano è tornato al livello di prima dell’attacco russo. Possibile? È il mercato che funziona così: in termini di aspettative non sempre legate all’economia reale, alla produzione. Nei cereali si chiamano mercati futures, di fatto delle speculazioni su prezzi futuri. Che poi si sommano a quelle delle filiere locali. Se il pane, e più in generale il cibo, sono beni fondamentali per la sicurezza non sarebbe il caso di cogliere il chicco al balzo e riconoscere che a livello globale diversificare produzione e approvvigionamento e contrastare le speculazioni (anche locali) dovrebbero essere la regola? Cambiamole queste regole, una volta per tutte.

*Professore di politica agraria internazionale, Università di Bologna