Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, vede la ’Marcia della Giustizia’ della Wagner come una svolta nella guerra ucraina?
"Non necessariamente, però può essere un potenziale elemento che porta Vladimir Putin verso una fase di trattativa, di cui lui probabilmente era già convinto, viste altre fragilità. Ma serve anche una controparte".
Cioè l’Ucraina?
"Kiev è la controparte formale, ma nella realtà è necessario il contributo degli Usa e di altri Paesi forse. Biden non si è mai gettato a capofitto nella guerra, ha sempre misurato la quantità e la qualità dell’intervento. Si inizia a comprendere che una trattativa è necessaria, anche perché gli Usa cominciano ad avere problemi con le scorte di armamenti".
Il caso Wagner influirà sull’atteggiamento della Nato?
"Non più di tanto, le mosse della Nato dipendono dal consenso dei singoli membri. La maggioranza di essi ha un atteggiamento prudente, pur appoggiando Kiev. Altri come i Baltici e la Polonia sono più attenti alla questione russa in sé. I Paesi che confinano con la Russia spesso alimentano paure comprensibili, ma poco realistiche quando parlano di attacchi a membri Nato".
Il sostegno Nato all’Ucraina aumenterà ancora?
"In senso lato è possibile. In senso stretto, bisogna tenere presente che l’attuale sforzo per fornire armi è altissimo, il consumo di mezzi, munizioni e il sacrificio di vite umane è pesante da tollerare. Per ambo le parti".
Ci sarà un nodo demografico?
"Esiste già, soprattutto per Kiev. Nel 2021 l’Ucraina ha avuto 100mila nascite in meno, nel 2022, se si sommano le vittime militari e civili, il numero raddoppia. Poi, con diversi centri abitati spianati, sempre meno persone saranno disposte a rientrare in patria alla fine del conflitto, se la guerra si prolunga".
L’Ucraina riuscirà a recuperare i territori perduti?
"Bisogna vedere come va il conflitto. Gli ucraini hanno diritto a recuperare tutti i territori, però serve un piano strategico di lunga durata, da sviluppare non solo con le armi ma con le trattative. Per fare l’Italia ci sono voluti cento anni".
La fragilità attuale dell’Orso russo può accelerare l’ingresso di Kiev nella Nato?
"Esistono due scuole di pensiero. Secondo alcuni bisogna farla entrare al più presto. Ma non ci sono oggettivamente le condizioni. La Finlandia ci ha messo anni a soddisfare i criteri necessari senza una guerra, l’Ucraina per ora ha fatto tanto, ma non li ha. Poi c’è la cosiddetta linea Kissinger, secondo la quale anche se la Russia è debole conviene avere uno spazio amico, ma non conteso. La precedenza va data ai sei Paesi balcanici, che sono in attesa da vent’anni".
Perché?
"Sono una zona grigia nel cuore dell’Europa e sono più facili da assorbire in termini economici. L’Ucraina ora è devastata, con finanze allo stremo e prima va ricostruita".
Il caso Wagner può influire sul vertice di Vilnius?
"La rivolta della Wagner è un episodio significativo, ma non credo che cambierà l’atteggiamento dei 31 membri dell’Alleanza nell’immediato. Potrebbe venire rafforzata la politica della Porta aperta nel sostegno all’Ucraina, ma resterebbe una dichiarazione di principio".
Come va interpretata la scelta della Germania di schierare 4mila militari in Lituania?
"È un segnale importante del sostegno di un alleato alla deterrenza lungo i confini Nato".
La controffensiva trarrà benefici dall’ammutinamento dei wagneriti?
"Qualche migliaio di combattenti russi in meno è un elemento sfruttabile sul campo. Tuttavia, la storia ci dice che, verso la fine di un conflitto, non sempre le battaglie più sanguinose hanno guadagni spendibili nelle trattative di pace".