Corsie a ostacoli

LA SANITÀ italiana si regge sugli sforzi del personale medico, paramedico e volontario che persevera nella missione nonostante tutto. E per tutto intendo i rischi di rivalse, le strutture fatiscenti, le pastoie dei baroni e ogni altra difficoltà che viene interposta tra chi sta male e chi ha il compito di salvargli la vita. Eppure, ancora oggi, i ricercatori e gli operatori italiani sono apprezzati ovunque. Almeno sino a che, esausti, non infilano le loro capacità in una valigia ed espatriano alla ricerca della giusta considerazione. Vero anche che i casi di buona sanità fanno poca notizia. Eppure conosco tanta gente che deve la vita alla professionalità del personale sanitario. Una cosa sembrava funzionare nell’Italia della malasanità ed era il servizio di pronto intervento. Per scimmiottare i Paesi evoluti abbiamo creato il numero unico, infilando un filtro perditempo in emergenze nelle quali anche una manciata di secondi può salvare la vita.

Speriamo migliori, anche se il calvario non si esaurisce nell’attesa di un’ambulanza: mi chiedo come facciano gli operatori del pronto soccorso a operare con la tranquillità necessaria in un ambiente che quotidianamente si trasforma in una bolgia di vitali emergenze. Pensate ancora ai macchinari malfunzionanti, a quelli salvavita acquistati grazie a intrallazzi e spintarelle, alla carenza igienica delle sale operatorie. Pensate ai topi in corsia e ai corridoi affollati di degenti. Eppure i costi del sistema sanitario nazionale sono esorbitanti. Mi auguro che qualche politico capace ci metta presto mano per riconoscere ai tanti missionari che lavorano nel comparto le soddisfazioni che meritano. Se non altro perché hanno tenuto in piedi la baracca con ogni tempo. Almeno sino a quando non smetteranno di considerare il compito di salvare vite umane come una missione e incominceranno a trattare il loro lavoro come il passaggio burocratico necessario per smistare le chiamate d’emergenza.