Corpo decapitato, il giallo della setta. La mamma: "Non credo al suicidio"

Il cadavere ritrovato nel Po con un biglietto d’addio. "Molte cose non tornano su mio figlio". I dubbi della donna: l’ho visto in un filmato della videosorveglianza dopo la scomparsa. Aveva abiti diversi

Stefano Barilli, ripreso dalla videocamera di un bar-tabacchi

Stefano Barilli, ripreso dalla videocamera di un bar-tabacchi

Piacenza, 19 aprile 2021 - Natascia attende. Nella sua casa di Piacenza Natascia Sbriscia, la madre di Stefano Barilli, attende di avere certezze. Vuole sapere, per prima cosa, se quello recuperato nel Po, nel territorio di Caselle Landi, è il corpo di suo figlio, che ha deciso di terminare nelle acque del Grande Fiume un viaggio nella vita durato soltanto ventitré anni. Chiusa in uno stato d’animo che racchiude angoscia, dolore, dubbio, forza. La forza di chi è consapevole che deve comunque andare avanti. "Purtroppo – dice Natascia –, la sparizione di mio figlio, l’8 febbraio, è stata una sorpresa che non ci aspettavamo. C’è stata da subito la paura di qualcosa di irreparabile. Ma troppe cose non sono chiare. Il giorno dopo la scomparsa, alle cinque e un quarto del pomeriggio, le telecamere di un distributore di benzina, in Strada Val Nure, in aperta campagna, hanno ripreso le immagini di un giovane che esce da un bar-tabacchi. Ho visto quelle immagini quattro giorni dopo. Posso dire che al 99 per cento era Stefano. Aveva un abbigliamento diverso sia da quello con cui si era allontanato (avevamo solo ipotizzato che fosse scappato con lupetto scuro e pantaloni scuri) sia da quello del corpo che è stato recuperato nel Po. Portava, per esempio, dei pantaloni grigi. Quelli del corpo ritrovato, per quanto so, sono neri. Io, però, non ho ancora visto con i miei occhi. Io credo che sia successo qualcosa dopo che mio figlio è uscito di casa. È importante saperlo. È importante per noi e per lui. Rimango convinta abbia compiuto una scelta rischiosa e si sia venuto a trovare in una storia più grande di lui. Troppe cose non sono chiare. Stefano lascia in casa una lettera. Alle nove di sera dello stesso giorno, l’8 febbraio, manda una mail a un amico. E poi c’è il messaggio trovato sul corpo. Tre messaggi sono tanti, troppi, c’è qualcosa che non va. Mi pare tutto ridondante, eccessivo. C’è qualcosa che non torna. Da madre ho bisogno della certezza che sia lui e di sapere cosa è successo. È una cosa dovuta a Stefano e a tutti noi. Devo trovare la forza di andare avanti, andare avanti nonostante tutto".

Ilaria Sottotetti è l’avvocato milanese che segue mamma Natascia dall’inizio di questa odissea: "Il momento è estremamente delicato. Attendiamo l’esame del Dna e l’esito dell’autopsia. In collaborazione con le autorità competenti intraprenderemo ogni possibile iniziativa per fare chiarezza sulla vicenda".

Domani sarà eseguita l’autopsia disposta dalla procura di Lodi. Quella del suicidio è l’ipotesi che riscuote il credito maggiore. Rimangono tanti interrogativi. Il cadavere, vestito di nero, giubbotto allacciato, pantaloni, calze, scarpe, era decapitato, mentre il resto del corpo pareva integro.

Il macabro particolare della testa mozzata potrebbe essere spiegato con l’urto contro uno spuntone di roccia oppure con l’azione devastante dei pesci siluro. In una busta sigillata riposta nel giubbotto sono stati trovati i documenti personali e un foglietto scritto a stampatello, in blu: Stefano vuole che si sappia che nessuno lo ha costretto o incitato a compiere il gesto estremo. E prosegue a Modena l’inchiesta sulla scomparsa di Alessandro Venturelli, sparito il 5 dicembre. Con l’ombra che dietro le due misteriose scomparse si celi il giallo di una setta.