Coronavirus, Rsa: la strage silenziosa. Ira dei familiari: "Vogliamo la verità"

Case di riposo: migliaia di morti, raffica di denunce. La Regione Lombardia difende la scelta di trasferire contagiati nelle Rsa

Coronavirus, operazioni di disinfezione (Ansa)

Coronavirus, operazioni di disinfezione (Ansa)

Roma, 11 aprile 2020 - Una strage di anziani nelle Rsa (case di riposo). Decine e decine di anziani morti e molti operatori contagiati dal Coronavirus. Genitori, nonni, persone invalide, non autosufficienti, i più fragili tra i fragili che, là dove dovevano essere al sicuro, sono venute a contatto col virus che, in molti casi, ha aggravato le loro condizioni conducendoli alla morte. Un dato che fa spavento è quello della Lombardia: nelle Rsa sono stati 1.822 i decessi, registrando – sono dati dell’Istituto superiore di sanità – un tasso di mortalità più del doppio rispetto alla media. Peraltro, come ha avvertito, Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss, "abbiamo una sottostima dei numeri dei decessi" che deriva dal fatto che in alcuni casi non è stato eseguito il tampone.

Qui il bollettino dell'11 aprile

Cosa non ha funzionato e di chi sono le responsabilità? La magistratura è in campo e ha aperto inchieste da Nord a Sud. Intanto la politica si difende. Ieri, nel giorno in cui si è insediata la commissione regionale d’inchiesta, l’assessore al welfare Giulio Gallera ha ribadito che "il trasferimento di persone" positive al coronavirus "dagli ospedali" a strutture come le Rsa, "era necessario per ricoverare altre persone e salvare vite" ma "non c’è stata alcuna contaminazione" da parte dei positivi al Covid-19 verso gli ospiti anziani. La linea della Lombardia è che i trasferimenti sono avvenuti solo in case di riposo che avevano «strutture separate» rispetto a quelle per gli anziani. Nessun "ordine dall’alto", poi, di non usare dispositivi di protezione per i sanitari delle Rsa per "non spaventare i pazienti".

Sono tanti, però, gli esposti e le denunce arrivati dalle famiglie alla procura di Milano sui casi di contagi da Coronavirus nelle Rsa milanesi. I magistrati stanno acquisendo materiale e le ipotesi di reato vanno dalla diffusione colposa di epidemia ai reati in materia di sicurezza sul lavoro. Tra i vari fascicoli già aperti c’è quello, nato dalle denunce di lavoratori dello storico Pio Albergo Trivulzio, dove nel mese di marzo sono morti 70 anziani. Secondo i sindacati Fp-Cgil, Fnp Cisl e Uilp-Uil, nel solo mese di marzo, hanno perso la vita 1.100 ospiti nelle case di riposo della provincia di Bergamo, numeri "drammatici, con punte che lasciano senza parole" come nel caso di una casa di riposo a Nembro "dove a marzo è deceduto il 36,8% degli ospiti, ossia 32 persone contro le 3 morte nel marzo del 2019".

Intanto dal Piemonte arriva la presa di posizione, tramite il loro legale, Maria Grazia Cavallo, di alcune Rsa: dirottare i pazienti affetti da Coronavirus dagli ospedali nelle residenze, per alleggerire la pressione sui presidi ospedalieri, sarebbe "gravissimo". In Toscana la procura di Prato indaga sui decessi e i contagi nella Rsa di Comeana, frazione del comune di Carmignano. Al momento non ci sono né indagati né ipotesi di reato ma il procuratore Giuseppe Nicolosi ha acquisito materiale in relazione alla Rsa che conta tra gli ospiti cinque decessi e altri 18 positivi, oltre a 15 casi di contagio tra gli operatori. Nei giorni scorsi il governatore toscano Enrico Rossi ha annunciato che se le case di riposo non saranno in grado di assicurare la migliore assistenza agli ospiti la Regione si sostituirà al privato nella gestione della struttura durante la fase di emergenza.

Anche nelle Marche un quadro difficile. I primi otto decessi nella casa di riposo di Cingoli, a Macerata, poi otto morti nelle Rsa di Recanati e altri 13 in tre settimane in provincia di Ancona. Ma c’è, in un panorama così sconfortante, anche un non-caso. È la casa di riposo ’Guerreschi’ di Capralba, a Cremona, dove non si è registrato alcun decesso. Lì hanno scelto di isolarsi fin da inizio febbraio, prima che scoppiasse il caso Codogno, impedendo le visite ai parenti.