Gli animalisti bloccano la ricerca. Il biologo: "Liberiamola subito"

Grignaschi: "La corsa a una cura per il Coronavirus è rallentata da troppi ostacoli"

Coroanvirus, un laboratorio di analisi (foto Ansa)

Coroanvirus, un laboratorio di analisi (foto Ansa)

Roma, 3 aprile 2020 - “In Italia, se fai ricerca, devi passare attraverso quattro comitati, aspettare mesi e per giunta pagare una tassa, anche solo per sfiorare un topo in laboratorio”. Le parole di Silvio Garattini, presidente del Mario Negri, nell'intervista pubblicata ieri su QN Quotidianonet, hanno sollevato la questione degli ostacoli alle sperimentazioni animali per sviluppare medicinali e vaccini in grado di debellare le malattie infettive emergenti come la SARS-Cov-2. Giuliano Grignaschi, biologo responsabile dell'Animal care all'Università Statale di Milano, è segretario generale di Research4Life, piattaforma che riunisce associazioni di pazienti, centri clinici e istituzioni come Farmindustria, San Raffaele, Airc, Telethon, IIT, Assobiotech, al fine di conciliare etica e salute.

Dottor Grignaschi, con l'emergenza Coronavirus vorremmo farmaci e vaccini subito pronti per l'impiego. Perché la medicina in Italia si inceppa davanti a un topo?

“Perché siamo il Paese che ha introdotto le maggiori difficoltà a promuovere la sperimentazione pre-clinica, tanto che Bruxelles ha messo in mora l'Italia per aver recepito dal 2014 in termini troppo restrittivi (e non poteva) una direttiva sull'impiego di animali a fini scientifici”.

Sacrosanto il rispetto delle cavie, ma migliaia di persone muoiono di polmonite, milioni di sopravvissuti all'epidemia rischiano di andare incontro a una fibrosi invalidante che potrebbe incidere sulla capacità respiratoria. Abbiamo urgenza assoluta di trattamenti ad hoc. Che cosa succede intanto nei laboratori?

“Succede che i nostri cervelli vanno all'estero, dove trovano condizioni migliori, e li restano. La nostra legislazione tutela la protezione degli animali da esperimento, ma senza garantire uguali condizioni operative tra enti che lavorano alle terapie di ultima generazione in ambito europeo. Insomma, una corsa a handicap”.

A cosa serve studiare il modello animale nella Covid-19?

“Dobbiamo capire che cosa provoca questo virus a livello di alterazioni in un organismo vivente, piuttosto che studiarlo in colture cellulari separate. Partendo da qui sarà possibile scoprire soluzioni efficaci che portano alla cura. Per i vaccini discorso analogo, dobbiamo verificarne la sicurezza, capire le reazioni in termini di risposta anticorpale prima di arrivare all'uomo e alla produzione su larga scala”.

La ricerca è paralizzata in Italia dai cavilli?

“Il professor Garattini ha fatto presente che il percorso per poter fare anche soltanto una iniezione a un topo, a un pesce, a un singolo animale, passa attraverso valutazioni interminabili. Sono temi sollevati anche nel libro dossier “Proibisco, ergo sum” dell'Associazione Luca Coscioni, sodalizio di cui faccio parte in qualità di consigliere generale. In qualunque momento, come si è visto per una ricerca che ha coinvolto le università di Parma e Torino, puoi essere fermato. Un percorso irto di ostacoli in Italia”.

Che cosa comportano paletti e obiezioni in chiave animalista?

“Vede, i precedenti governi, rendendosi conto che l'intrerpretazione restrittiva data dall'Italia avrebbe bloccato la ricerca, e non c'erano alternative, ha sempre concesso una moratoria di tre anni in tre anni, a partire dal 2014. Quest'anno il governo giallorosso, e il ministero della salute, l'hanno prorogata di un anno. I ricercatori presentano progetti di largo respiro. Gli altri paesi non devono sottostare a vincoli e rischi. E questo si ripercuote anche nella corsa al vaccino. Se metti un vincolo di un anno aggiungi una difficoltà in più”.

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