Coronavirus, noi bombardati dall’isteria. La mia Milano sotto choc

Negozi svuotati, strade deserte: siamo senza anticorpi per reagire. La generazione dei nostri genitori aveva vissuto la guerra

Coronavirus a Milano, la protesta di un locale (Ansa)

Coronavirus a Milano, la protesta di un locale (Ansa)

Milano, 25 febbraio 2020 - Sono una post-baby boomer, figlia di due che sono stati adolescenti durante la Seconda Guerra e che hanno visto sangue, miseria e Mussolini a testa in giù. Una ragazza che ogni sera, carica di rabbia, speranza e gioventù, pedalava sull’alzaia Martesana da Milano a Cernusco per dormire al sicuro in cascina. E uno che a 16 anni si ritrovò orfano di madre, morta sotto le bombe del 20 ottobre 1944, agguato alleato al popoloso quartiere di Gorla, 342 bombe sganciate dal 451º Bomb Group. Volevano centrare la Breda e presero in pieno una scuola elementare e le case intorno, 614 morti di cui quasi 200 bambini che stanno ancora lì nell’ossario. Ecco la disgrazia numero uno della mia vita, non l’ho vissuta personalmente ma la catena del dolore è molto lunga. La disgrazia numero 2 è aver perso così presto quel padre ragazzo orfano sopravvissuto. Per il resto, della mia vita non posso lamentarmi. Perciò non sono temprata come i miei vecchi. Non mi mancano solo gli anticorpi del Coronavirus Covid-19.

Mi aggiro circospetta per la mia città, così smart, allegra ed elettrica, the place to be, la città più giovane d’Italia messa a dura prova da un microrganismo che fino a poche settimane viveva quieto nel corpo di un pipistrello (pian-fu) o sotto le scaglie di un pangolino cinese, e che oltre a morti e contagiati ci sta costando un -6 per cento in Borsa e un rimbalzo dello spread: il termometro principale qui resta questo, gli speculatori sono immuni da ogni virus.

Non ho ricordi catastrofici a cui fare riferimento quando nella carrozza vuota del metrò mi ritrovo occhi negli occhi con un bengalese avvolto in uno sciarpone fino agli zigomi. D’accordo, è solo un film, dov’è la camera? È arrivato qui in cerca di una vita migliore, non di una polmonite interstiziale. Le mascherine – servono? non servono? – non si trovano più ma volendo al mercato nero vengono, si dice, 100 euro cadauna (180 se ne prendi 2, Amuchina in omaggio). Forse andremo al mercato nero anche per verze, mele e fettine: nel week end i super sono stati svuotati, soprattutto frutta e verdura che fanno bene alla salute. Chi aveva mai visto gli scaffali vuoti?

Nel suo bagaglio di tracce mnestiche il mio cervello non trova decodifiche per la signora che guida la macchina con i guanti di gomma gialli da cucina. Ci salva quel po’ di umorismo stralunato, da Derby Club: "Fammi vedere le unghie" dice il cameriere del bar. “Oggi niente vunciun" (sporcaccioni). Sabato don Gianni ha citofonato alle parrocchiane per dire di non andare a messa: guardarla in tv, anche se hanno lavato le acquasantiere con la candeggina. Poi domenica le chiese le hanno chiuse, e ciao. Con il solito undestatement gira via Whatsapp una preghiera ad hoc suggerita dall’arcivescovo. Chiusi gli oratori. E il Duomo. La Scala. Chiuso il Piccolo, tutti i teatri e i cinema. Cartello di un d’essai di periferia: "Per 7 giorni accontentatevi di Netflix".

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Bloccati convegni, dibattiti, incontri, manifestazioni politiche, culturali, commerciali. Niente palestre. Bambini a casa, coriandoli solo in soggiorno. Facce stordite negli uffici. Distribuzione di disinfettante. Mamme napoletane, siciliane, calabresi telefonano ai figghioli che studiano e lavorano su: tornate giù, poi si vedrà. Una telefonata anche a me: mi avvertono che in una casa del borgo ligure dove passo l’estate si è asserragliata una truppa di 9 fuggitivi da Codogno che hanno eluso i controlli e ora il paesello è pieno di carabinieri. Cos’è, il Decameron? La peste nera? Mi attengo alle ordinanze. C’è da ubbidire, si ubbidisce. Ma una domanda: posso? Proprio a noi, perché?

Noi, città-stato con lo skyline nuovo di zecca, con il Pil da Baviera, con la nostra sanità eccellente? Cos’è, una presa in giro? Noi, i tedofori della speranza di crescita, di ripresa, una delle poche navi che va. Noi in cima alla rampa scivolosa di un Paese agonico: ed eccoci annaspare per non riscivolare a livello terra per colpa di un microrganismo pangolinico. È un complotto? Una lezione? È solo la vita che è fatta così e avevamo avuto la fortuna di dimenticarlo? Quanto meno sarà una prova generale di smart work .