Coronavirus, medici esasperati: "Siamo senza protezione"

Viaggio negli ospedali dell’emergenza. Codogno a rischio: "Non abbiamo visto tute né dotazioni". Polemiche sui turni massacranti

Operatori sanitari al lavoro (Ansa)

Operatori sanitari al lavoro (Ansa)

Milano, 24 febbraio 2020 - I cancelli sono chiusi davanti all’ospedale dove tutto è cominciato. Codogno, sera del primo giorno ufficiale in cui la Bassa Lodigiana è diventata zona rossa. Qui il paziente 1, il 38enne amante della corsa, ha lasciato un’inconsapevole scia di contagi. Qui, i medici e gli infermieri sono ”reclusi” al lavoro. "Un ospedale è un luogo dove la possibilità di contrarre una malattia può essere più elevata", ha detto in conferenza stampa l’assessore regionale lombardo al Welfare, Giulio Gallera. Era la risposta a chi si stupiva di come i casi siano stati in questi giorni spesso legati a degenze ospedaliere. Non solo a Codogno, ma anche al San Raffaele, ad Alzano, nella Bergamasca, al San Gerardo di Monza, a Crema.

"Non abbiamo ancora visto una tuta, non ne abbiamo mezza, non ci sono arrivate dotazioni adeguate", si lamenta un infermiere in servizio all’ospedale di Codogno, l’epicentro del coronavirus, dove è stato ricoverato il paziente 1 e che è chiuso al pubblico. "Tutto ciò che dicono non è vero, non c’è niente sotto controllo", si è sfogato un infermiere. La critica riguarda il fatto che a Codogno, forse come altrove, non c’era un protocollo valido per proteggersi, per fronteggiare dei casi che non era previsto ci fossero. "Una retina verde per coprire il camice e i vestiti, con guanti in lattice e una semplice mascherina. Questa è la strumentazione arrivata dall’Asst di Lodi per gestire la prima emergenza: siamo molto preoccupati", ha detto l’altro giorno un medico codognese.

Il presidio è isolato e in queste ore si sta occupando dei 35 degenti ricoverati nel reparto di Medicina interna e che necessitano di assistenza continua. Solo nelle ultime ore sono arrivate alcune tute e mascherine idonee per girare nei reparti ed evitare il contagio. "È una vergogna - dice il dottore lodigiano -. Il personale sanitario non è stato attrezzato subito nel migliore dei modi per fronteggiare quella che resta una vera emergenza che ha colpito soprattutto il pronto soccorso e alcuni reparti dell’ospedale di Codogno". A questo si aggiungono anche i problemi legati alla gestione ordinaria del presidio ospedaliero del Basso Lodigiano. Con intere équipe di infermieri e sanitari bloccati da venerdì a domenica, al lavoro costantemente.

"Sono arrivato al quarto turno consecutivo di lavoro", ha detto un altro medico. "Ci sono degli operatori sanitari che hanno fatto turni di 36 ore senza la possibilità di andare a casa perché mancava il cambio", conferma Gianfranco Bignamini della federazione sindacato intercategoriale (Fisi) ha sparato alzo zero sulla situazione. "Non è il momento delle polemiche, ma chiedo come mai, secondo quanto mi riferiscono gli operatori, ci sia stato anche un buco di parecchie ore nel momento di massima emergenza nel garantire materiale adeguato al personale. Vogliamo andare a fondo a questa cosa. Inoltre c’è stato anche parecchio caos sul controllo successivo agli infermieri di turno quando è arrivato il paziente risultato poi positivo". Altri casi sono transitati, inizialmente senza essere identificati, dagli ospedali lombardi. Altrove però il contenimento è apparso decisamente più efficace. Nonostante la prudenza abbia suggerito ovunque di sospendere attività ordinaria per evitare l’afflusso in corsia.