Giovedì 18 Aprile 2024

Coronavirus, l’America ci ammira: "Siete un modello". Ecco perché ora facciamo scuola

Il New York Times applaude la strategia di Roma: "Era l’epicentro di un incubo, qualche mese dopo gli ospedali sono quasi vuoti". Le chiusure progressive hanno funzionato. Usa e Brasile pagano un modello sanitario che non garantisce l’assistenza universale.

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Da paria a modello. Viene dal New York Times un importante riconoscimento per la strategia anti Covid-19 attuata dal nostro Paese. "Quando il Coronavirus è esploso ad Ovest, l’Italia era l’epicentro dell’incubo, un posto da evitare a tutti costi, un sinonimo di contagio senza controllo" scrive il corrispondente da Roma Jason Horowitz. "Qualche mese dopo, i suoi ospedali sono quasi vuoti di pazienti Covid 19 e il numero giornaliero di nuovi casi è uno dei più bassi in Europa e nel mondo. Il fatto che l’Italia è passata da essere un paria a diventare un modello, ancorché imperfetto, di contenimento virale dovrebbe insegnare qualche lezione al resto del mondo". "Dopo un inizio incerto – ricorda il quotidiano – l’Italia ha consolidato un rigido lockdown a livello nazionale attraverso un mix di allerta e competenza medica dolorosamente acquisita".

L’articolo elogia gli sforzi fatti dal governo, "guidato da comitati scientifici e tecnici", mentre "medici locali, ospedali e funzionari sanitari raccolgono ogni giorno più di 20 indicatori sul virus", un modello "che ha consentito all’Italia di avere una radiografia settimanale della salute del Paese su cui si basano le decisioni politiche". "Il tasso di trasmissione del virus – sottolinea il quotidiano – si è ridotto velocemente e la curva si è spianata a differenza di altri Paesi europei, come la Svezia, nei quali si è deciso di non fare lockdown".

Questo approccio rigoroso ha imposto un alto prezzo. "Non c’è dubbio – osserva il Nyt – che il lockdown sia stato economicamente costoso. Si prevede che quest’anno l’Italia perderà circa il 10% del suo Pil. Ma a un certo punto i funzionari italiani hanno deciso di anteporre la vita all’economia. Benché dolorosa, la strategia di chiudere tutto potrebbe risultare più vantaggiosa di provare a riaprire l’economicamente il virus è ancora in circolazione, come accade in paesi come gli Stati Uniti, il Brasile e il Messico".

I modelli di contrasto all’epidemia sono essenzialmente cinque, tutti in vigore dopo un generalizzato ritardo iniziale frutto di incertezze e di sottovalutazione del fenomeno. Il primo è quello centralista e rigoroso attuato in un regime non democratico come la Cina. È basato su misure di lockdown estreme, sul distanziamento sociale e su un diffuso controllo da parte delle autorità. Ha funzionato, a prezzo di una compressione dei diritti individuali. Il secondo modello è quello della Corea del Sud, che ha fatto largo uso della tecnologia e dl distanziamento sociale, anche qui con una compressione dei diritti individuali e ha puntato sul tracciamento, anche via app, dei contatti e un esteso numero di tamponi sui sospetti oltre che un lockdown selettivo: probabilmente è il modello che ha avuto i migliori risultati.

Il terzo modello è quello italiano: si è proceduto dapprima con zone rosse comunali, quindi pluriregionali e infine su un lockdown nazionale e divieti di spostamento al di fuori dei comuni di residenza. Scesa la curva dei contagi il lockdown è stato progressivamente allentato, con blocchi selettivi, tracciamento dei contagi e mantenimento del distanziamento sociale. Spagna, Belgio e Francia hanno seguito il modello italiano, ma in ritardo e riaprendo prima: anche per questo stanno avendo una seconda ondata.

Il quarto modello è quello di Germania, Austria, Norvegia: lockdown più contenuto, grande efficienza del tracciamento dei focolai, grandi risorse nel sistema sanitario. Ha funzionato benissimo. Il quinto modello è quello di Svezia e, peggio, Stati Uniti, Brasile e Messico. Nessun lockdown nazionale se non limitato ad alcuni stati o regioni, misure di distanziamento sociale di solito scarse e in ritardo, uso di tamponi variamente declinato. Ma soprattutto, handicap notevole, per gli Usa e il Brasile, niente assistenza sanitaria universale. E così la Svezia ha avuto tassi di mortalità superiori a quelli dei paesi vicini (pur se lievemente inferiori ai nostri), gli Usa (sia pur con mortalità al momento inferiore alla nostra) contano già 157mila morti, il Brasile 92mila, il Messico 46mila. E non è certo finita: lì l’epidemia è ancora pienamente in corso e farà molte altre vittime.