Martedì 23 Aprile 2024

Coronavirus, Gamberale: "I giovani, il lockdown e l'amore perduto"

La scrittrice e conduttrice radiofonica Chiara Gamberale: "Niente baci, abbracci e la gioia dell’ultimo giorno di scuola, quelle ferite da rimarginare"

Al museo con la mascherina chirurgica (Imagoeconomica)

Al museo con la mascherina chirurgica (Imagoeconomica)

Roma, 21 maggio 2020 - "Molti ragazzi mi dicono: con la quarantena ho perso l’anno più bello della mia vita. Spero che si accorgano anche di tutto quello che hanno guadagnato". Ansie, paure, speranze, innamoramento, amore e altri disastri ai tempi del Coronavirus. Nessuno meglio di Chiara Gamberale, 43 anni, una figlia di tre, scrittrice e conduttrice radiofonica, sa esplorare i sentimenti. Il filo diretto con i suoi lettori è un campionario migliore di qualunque sondaggio. E delle tante analisi psicologiche a buon mercato. Perché dice che tra il dare e l’avere il bilancio è positivo? "Ho perso un anno di vita è una frase melodrammatica, tipica dell’età. Gli adolescenti di oggi hanno una vita scandita da mille impegni, fin da quando sono bambini. Spesso entrano in un vortice di competizione che li divora. Il lockdown invece è stato un periodo utilissimo di sospensione del tempo: allo stress è subentrata la lentezza, la possibilità di riflettere. Di capire quanto di superfluo c’è nei loro rapporti con gli altri. Hanno imparato che cos’è la noia, sorgente inesauribile di pensieri, entrando finalmente a contatto con se stessi. Si sono conosciuti meglio: adesso spero che si ricordino chi sono".

Certo però hanno perso la socialità della scuola. E se non c’è la scuola, non c’è neppure il piacere del dopo scuola...  "Questo è un fatto oggettivo che va riconosciuto. Capisco il dispiacere. La figlia di un’amica si è sfogata con la madre: ho vissuto l’ultimo giorno di scuola il 9 marzo, senza sapere che lo fosse. Immaginava la foto finale, la festa, le lacrime, gli abbracci e gli arrivederci con i compagni. Invece nulla. Una brutta ferita, ma si rimarginerà". 

E la Maturità senza il tema?  "Un grosso peccato. Mai come stavolta avrebbe avuto senso conoscere i pensieri dei candidati su questo evento irripetibile. Sarebbe stata una testimonianza da tramandare agli storici". 

Cos’è cambiato dentro i ragazzi? Perché molti esitano a uscire di casa?  "Hanno riscoperto la famiglia come tana accogliente. Si sono sentiti coccolati e al sicuro dal virus. È naturale che ci pensino due volte a recuperare la vita di relazioni con gli amici, come se nulla sia successo". 

E i sentimenti?  "I giovani ne hanno esplorato il significato più profondo, la rinuncia forzata al contatto fisico ha sviluppato gli altri sensi. E le coppie vere si sono rafforzate nella lontananza: amor omnia vincit". 

È stato così anche per gli adulti?  "La frase che ho sentito più spesso, da uomini e donne, è stata: appena riacquisto la libertà mi separo. Sono curiosa di vedere se succederà. L’altra faccia della medaglia è quel fotografo di Brooklyn che ha intessuto una love story con la dirimpettaia: il New York Times segue quotidianamente gli sviluppi. Insomma, non si può dire se l’amore nell’era del virus è più facile o complicato: è una materia imprevedibile, una lingua pazza, una psicosi. Scegliere una persona fra quasi otto miliardi... non c’è nulla di razionale". 

Un’altra frase virale è: ho voglia di innamorarmi. Come si traduce in realtà?  "È la nostalgia della vertigine. Se un uomo o una donna sentono la restrizione solo come una prigionia, se l’ansia ha la meglio, si finisce per sognare qualcosa di bello che faccia viaggiare la mente. Che rimetta in moto i sensi in letargo". 

E quindi? "Si spera in una telefonata imprevista. Sa com’è la battuta: se non mi chiama nessuno neppure adesso, vuol dire che ho proprio un carattere del cavolo. Che fare in quel caso? Si prende in mano la rubrica e si scorrono i nomi. Così ti torna in mente un ex, oppure un amico che in fondo ti è sempre piaciuto ma con cui c’è stato poco o niente per motivi imperscrutabili. Uno squillo e si riannodano le vite, si fanno pensieri che accarezzano il cuore, nascono aspettative gratificanti". 

Come va a finire?  "Abbandonarsi è meraviglioso. Ma attenzione: la pandemia ha mescolato le carte, niente di più facile che essere rimasti vittime della sindrome di Stoccolma. Ci si innamora del carceriere, poi la realtà spesso spezza l’incantesimo. Ma vale la pena di provarci, provarci sempre".