Coronavirus e danni permanenti, gli ultimi studi. "Rischio fibrosi polmonare"

Richeldi (Cts): "Parallelo coi malati di Sars, dove il 30% dei guariti ha avuto problemi respiratori irreversibili"

Coronavirus, una dottoressa si prepara

Coronavirus, una dottoressa si prepara

Roma, 26 maggio 2020 - Chi guarisce dal Coronavirus rischia di avere dei danni permanenti? La domanda, che in molti si pongono, è stata al centro del convegno digitale della Società Italiana di Pneumologia che ha fatto un confronto con i pazienti colpiti dalla Sars nel 2003. Un confronto da cui è emerso uno scenario preoccupante. "Le prime osservazioni rispecchiano da vicino i risultati di studi di follow-up realizzati in Cina a seguito della polmonite da Sars del 2003, molto simile a quella da Covid-19, confermando il sospetto che anche Covid-19 possa comportare danni polmonari che non scompaiono alla risoluzione della polmonite", spiega Luca Richeldi, membro del Comitato Tecnico e Scientifico. Anche se va fatta una doverosa premessa: "Non abbiamo al momento dati certi sulle conseguenze a lungo termine da polmonite da Covid-19, è trascorso ancora troppo poco tempo dall'inizio dell'epidemia a Wuhan, dove tutto e' cominciato". 

Il parallelismo con la Sars alimenta, però, il timore che l'infezione da Covid possa lasciare danni a lungo termine sulla funzionalità respiratoria e talvolta comprometterla in modo irreversibile (specie nei pazienti usciti dalla terapia intensiva). "Il 30% dei pazienti guariti mostrava segni diffusi di fibrosi polmonare, cioè grosse cicatrici sul polmone con una compromissione respiratoria irreversibile - spiega Richeldi -: in pratica potevano sorgere problemi respiratori anche dopo una semplice passeggiata". 

Secondo gli studi presentati al convegno, si stima che in media in un adulto possano servire da 6 a 12 mesi per il recupero funzionale, che per alcuni però potrebbe non essere completo. Ma cosa può succedere ai polmoni colpiti da Covid? Potrebbero essere frequenti le alterazioni permanenti della funzione respiratoria ma soprattutto segni diffusi di fibrosi polmonare: il tessuto respiratorio colpito dall'infezione perde le proprie caratteristiche e la propria struttura normale, diventando rigido e poco funzionale, comportando sintomi cronici e necessità, in alcuni pazienti, di ossigenoterapia domiciliare. 

Mentre si cerca di mettere la parola fine a un'emergenza sanitaria, il rischio è che all'orizzonte ne sorga già un'altra: la fibrosi polmonare potrebbe diventare perciò il pericolo di domani per molti sopravvissuti a Covid-19 e rendere necessario sperimentare nuovi approcci terapeutici come i trattamenti con cellule staminali mesenchimali. "In molti pazienti Covid-19 che sono stati ricoverati o intubati osserviamo dopo la dimissione difficoltà respiratorie che potrebbero protrarsi per molti mesi dopo la risoluzione dell'infezione e i dati raccolti in passato sui pazienti con Sars mostrano che i sopravvissuti a sei mesi di distanza avevano ancora anomalie polmonari ben visibili alle radiografie toraciche e alterazioni restrittive della funzionalità respiratoria, come una minor capacità respiratoria, un minor volume polmonare, una scarsa forza dei muscoli respiratori e soprattutto una minor resistenza allo sforzo, con una diminuzione netta della distanza percorsa in sei minuti di cammino".

"Questi problemi si sono verificati anche in pazienti giovani, con un'incidenza variabile dal 30 fino al 75% dei casi valutati - interviene Angelo Corsico, direttore della Pneumologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Ordinario di Pneumologia all'Università di Pavia - E i primi dati riferiti dai medici cinesi su Covid-19 e i nostri primi dati osservazionali, parlano di molti pazienti sopravvissuti nei quali viene diagnosticata proprio una fibrosi polmonare, ovvero una situazione in cui parti di tessuto dell'organo sono sostituite da tessuto cicatriziale non piu' funzionale".

Scenari che pongono l'attenzione alla necessità di creare una rete ambulatoriale dedicata al follow-up dei pazienti che sono stati ricoverati, specialmente i più gravi e gli anziani più fragili, che potrebbero necessitare di un trattamento attivo farmacologico e di percorsi riabilitativi dedicati. "A Pavia un ambulatorio post-Covid, dedicato ai pazienti dimessi, è già attivo dal 27 aprile scorso - aggiunge Corsico -. I dati preliminari sembrano confermare le prime osservazioni cinesi su Covid-19: diversi pazienti dimessi, purtroppo, presentano ancora insufficienza respiratoria cronica, esiti fibrotici e bolle distrofiche. E' quindi necessario seguirli con attenzione e soprattutto inserirli in adeguati programmi di riabilitazione polmonare".