Coronavirus, l'infettivologo: "Torniamo a vivere senza l'incubo contagi"

Vella e l’impossibilità di raggiungere il traguardo zero: è sufficiente mantenere basso il livello di trasmissione

Persone in strada con la mascherina

Persone in strada con la mascherina

Roma, 31 maggio 2020 - "Dobbiamo mantenere basso il livello di trasmissione, come ora che l’indice è pari a 0,3-0,4. Perché il Coronavirus si propaga ancora velocemente con gli asintomatici". Così Stefano Vella, docente all’Università Cattolica di Roma, già direttore del Centro per la salute globale all’Istituto Superiore di Sanità, e presidente dell’International Aids Society negli anni della scoperta dei primi antiretrovirali.

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Professore, nemmeno nei confronti dell’HIV-AIDS siamo riusciti ad azzerare i contagi, a che punto siamo? "Oggi in Italia abbiamo 160mila persone che convivono con il virus HIV, procediamo al ritmo di quattro-cinquemila nuove infezioni all’anno. La svolta è venuta con farmaci che l’hanno resa una malattia cronica, ma abbiamo avuto 45 milioni di morti nel mondo per Aids. Quella è una malattia che non si attacca per strada con il primo venuto, come un virus respiratorio, richiede prevenzione nei comportamenti sessuali ma nessun lockdown".

La nostra società sembra ancora paralizzata nonostante le riaperture. Eppure con il Sars- CoV-2 stiamo trovando un compromesso senza raggiungere lo zero virgola zero. "Adesso è più vero che ce la faremo, perché abbiamo capito come fermarlo. Però la Corea, esempio virtuoso, ha avuto contagi di importazione in questi giorni, in un soffio sono riesplosi i casi, ha dovuto chiudere di nuovo. Dobbiamo tranquillizzare con cautela. Ma si può dire che la gente si stanca se la stressiamo troppo, e poi smette di proteggersi, come successe per l’Aids: a un certo punto le persone allentano le precauzioni nonostante gli appelli alla prudenza".

Dunque, contenere l’indice Rt senza farlo tornare sopra uno? "Deve rimanere ai livelli di questi giorni, nessun tana liberi tutti, perché il virus cerca ancora gente da infettare. Si è visto che la mascherina e le distanze funzionano, quindi diamo speranze. Ma questa rimane una pandemia globale, non possiamo pensare di risolverla solo a casa nostra".

Ora intanto si riaprono i confini. "Allora riprendiamoci la nostra vita continuando ad applicare le cautele che abbiamo visto funzionare. Nella lotta al Coronavirus l’indice di trasmissione attuale 0,3-0,4 va considerato un grande risultato, che però dobbiamo mantenere anche ora con le riaperture e la ripresa dei voli, monitorando passo passo e spegnendo immediatamente eventuali focolai".

Lei si è tenuto lontano dal dibattito tra virologi di queste ultime settimane, perché? "Perché hanno già detto e scritto di tutto. Io ero in Sardegna in un ospedale Covid. Siamo appena usciti come da una grande guerra, ci sono tante lacrime da asciugare. Le misure, di certo, hanno smorzato l’epidemia, le terapie intensive si svuotano perché abbiamo imparato a trattare prima e meglio l’infezione. Che il virus sia indebolito, personalmente ho qualche dubbio, aspetto le prove, per me circola ancora ed è pronto a rialzare la testa. Ma evitiamo di seminare il terrore. Nella fase della convivenza con il virus manteniamo gli accorgimenti igienici e il distanziamento sociale, senza cambiare radicalmente le nostre abitudini".

Cosa altro possiamo fare per limitare l’impatto di una eventuale seconda ondata in autunno? "Andrebbe prevista una maggiore copertura del vaccino antinfluenzale, per evitare che torni a sovrapporsi con i Covid: il virus va affrontato sul territorio".

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