Giovedì 18 Aprile 2024

Coraggio, il peggio (forse) è passato. In Italia torna a crescere il Pil: +4,2

Bruxelles rivede le stime, il ruolo del Recovery sarà fondamentale. Ma bisogna portare a termine le riforme

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Crescita del Pil italiano del 4,2% nel 2021 e del 4,4% nel 2022. Rosee le previsioni economiche di primavera della Commissione Ue, che rivede al rialzo i dati vitali per il nostro Paese per quest’anno e per il prossimo: cresciamo più della Germania, un po’ meno della Spagna. E la crescita, spiegano da Bruxelles, "sarà trainata dai consumi privati, dagli investimenti e da una crescente domanda di esportazioni da un’economia globale in rafforzamento". Pronostici che arrivano mentre il premier Mario Draghi avvisa che "le regole del patto di Stabilità dovranno cambiare" e il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, insiste sul ruolo "degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza", che porteranno un incremento dell’1,2% del Pil da subito.

Ma se l’Europa è più che fiduciosa, sollevandoci dallo scomodo ruolo di fanalino di coda dell’Ue e pronosticando una ripresa italiana ben più robusta di quella disegnata a febbraio, non mancano le voci critiche di casa nostra, soprattutto per quanto riguarda gli ingredienti che saranno alla base della "ricetta crescita". Gli addetti ai lavori, i sindacati e le stesse imprese temono soprattutto la jobless recovery, ossia la ripresa senza posti di lavoro. Anche perché il tempo è agli sgoccioli per la fine del blocco dei licenziamenti.

E sull’occupazione gli effetti del Recovery Fund non saranno a breve così evidenti, bisogna aspettare che tutte le attività tornino al pieno regime e la ripresa prenda piede. In Italia, infatti, la disoccupazione resterà intorno al 10% per i prossimi due anni, finché non si tornerà ad un livello di occupazione pre-pandemico. C’è però chi scommette su una ripresa a occupazione selettiva. I numeri potrebbero non mutare tanto per il 2023, ma "la composizione del mercato del lavoro sarà profondamente cambiata", prevede Maurizio Del Conte, docente alla Bocconi. Soprattutto perché le risorse del Recovery spingeranno le nuove professionalità legate al digitale e al green.

Una rivoluzione che non si realizzerà senza vittime: "Molti – spiega Del Conte – avranno perso sia il lavoro sia il treno della ripresa". Le chiavi di volta sono tutte però a portata di mano e consistono nelle politiche attive. È anche l’opinione di Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte. Poiché "nessun imprenditore vuole licenziare i suoi collaboratori", occorre investire sulla loro formazione. Le competenze, infatti, sono al centro della trasformazione digitale. "Per creare occupabilità – insiste - dobbiamo potenziare gli Its, i percorsi universitari su materie Ict e cultura digitale". E la formazione, attraverso un "piano straordinario", è la formula base anche per Luigi Sbarra, numero uno della Cisl. Obiettivo, accrescere le competenze dei lavoratori per avviare una nuova politica industriale capace di salvaguardare produzioni e posti di lavoro, coniugando lo sviluppo e la tutela dell’ambiente".

E chi un posto di lavoro non ce l’ha e neanche lo cerca? Quando si discute di jobless recovery in Italia, il dato rilevante è quello relativo all’enorme numero di inattivi, spiega senza esitazioni Emmanuele Massagli, presidente di Adapt. "Si tratta di persone – spiega – senza occupazione che hanno smesso di cercarla perché convinte di non riuscire a trovare nulla. Più passa il tempo, più il loro rientro nel mercato del lavoro sarà difficile, anche in caso di ripresa. È questa ora la priorità della politica in materia di lavoro, prima ancora che il contrasto alla disoccupazione, già realizzato con la costosa proroga del blocco dei licenziamenti".

Rioccupare, insomma, le persone senza più speranza. "Senza questa "ripresa umana diffusa – incalza – non vi sarà alcuna ripresa economica". Ma nel breve periodo per evitare che la ripartenza muoia in culla, "vanno attuate in tempi rapidissimi – insiste Sergio Silvestrini, segretario generale della Cna – le riforme strutturali che l’Ue ci chiede da anni sulla giustizia, sulla burocrazia, sul lavoro". Senza trascurare – avvisa Alessandro Fontana, vice-chief economist di Confindustria – l’esigenza cruciale di "mantenere il supporto pubblico all’economia fino a quando il recupero non avrà ripreso slancio, a cominciare dall’assicurare ancora liquidità alle imprese".