Coppie gay, Andrea e Dario: abbiamo ispirato Papa Francesco

Nel film la storia dei due omosessuali cattolici che hanno adottato 3 bimbi. Hanno scritto al Santo Padre, che li ha chiamati

Andrea Rubera con i 3 bimbi adottati e il compagno Dario De Gregorio

Andrea Rubera con i 3 bimbi adottati e il compagno Dario De Gregorio

Roma, 22 ottobre 2020 - "Ciao Andrea, sono il Papa. Perché non mi rispondevi al telefono?". Andrea Rubera – romano di 55 anni protagonista del film ’Francesco’ – insieme al suo partner Dario De Gregorio adotta tre bimbi e una mattina del 2015 a Santa Marta consegna a Francesco una lettera: "Voglio crescere i miei figli nella fede cattolica, ma ho paura per come possono venire accolti in parrocchia". Così Bergoglio prende lo smartphone e lo chiama: "Sono commosso, introduci i figli nella quotidianità della parrocchia, però preparati a trovare delle resistenze".

Andrea, perché non rispondeva a Sua Santità?

"Mi chiamava col numero anonimo e io non rispondo in quei casi. Poi alla quarta telefonata mi sono deciso e lui mi ha ’rimproverato’".

Lei è nato e cresciuto in parrocchia. Avete subìto discriminazioni nell’ambiente cattolico, come le aveva preannunciato il Papa, dopo aver portato i vostri bimbi?

"Nessuna difficoltà di inserimento, ho trovato accoglienza. I nostri figli frequentano da 5 anni un percorso di fede e la vivono in maniera molto naturale".

Che effetto le ha fatto sentire il Papa?

"Sono rimasto spiazzato, la telefonata era talmente operativa che non ho avuto tempo di stupirmi. Poi, lentamente, mi sono reso conto di cosa era successo e mi sono sentito come abbracciato. Preso in cura".

Cosa le ha detto precisamente Francesco?

"A questo Pontefice io mi sento molto legato, quando è stato eletto mi sono messo a piangere: ho un feeling tutto mio con lui. Dopo la lettera pensavo fosse finita lì, invece mi ha chiamato. ’Sono Papa Francesco, ho letto e volevo capire bene il problema. Per caso nella tua parrocchia ti hanno respinto?’".

È andato dritto al punto?

"Esatto, si è aperto totalmente senza fare nessun preambolo di circostanza".

Non ha pensato fosse uno scherzo?

"Neanche per un secondo. Lui è andato subito al focus e solo una persona che aveva letto la lettera poteva farlo. Mi ha detto: ’Vai dal parroco, vedrai che se ti presenterai in trasparenza troverai accoglienza’".

Dopo quell’episodio non ha più incontrato il Papa?

"No".

Il regista Afinnevsky come ha scoperto la sua telefonata privata e inedita con Bergoglio?

"È un amico di una mia vicina di casa che lavora all’ambasciata russa e un giorno ci siamo trovati tutti in pianerottolo, così me l’ha presentato. L’autore era mosso da un reale interesse verso il Papa e mi ha convinto a partecipare. È stato interessante collaborare raccontando la storia dopo anni che era successa. Ho contribuito a valorizzare una figura importante della Storia".

Quando ha capito che doveva vivere l’omosessualità liberamente, la sua fede si è persa?

"Liberamente è un parolone. Negli anni Ottanta non era facile parlare di gay, mi proteggevo e nascondevo: non trovavo il mio spazio. Ho fatto un cammino lungo e complesso: mi ero allontanato dalla vita comunitaria, ma non da Dio. Poi dal 2000, dopo un grave incidente, ho deciso di tornare a vivere".