Alberto
Clò
A questo punto è anche difficile trovare le parole. La drammatica situazione in cui il nostro Paese si è cacciato nel dipendere dalla Russia dovrebbe averci fatto capire quanto scellerate sono state le nostre passate scelte. Aver detto No al nucleare, No ai rigassificatori, No all’estrazione delle nostre risorse minerarie, No ad altri gasdotti (ricordate il No-Tap?) ha significato un grande Sì al gas russo.
Nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, lo scorso anno poco più di 3 miliardi di metri cubi. Questi 17 miliardi in meno si sono tradotti in altrettante maggiori importazioni dalla Russia ammontate nel 2021 a 29 miliardi di metri cubi: pari a poco meno del 40% dei nostri consumi di gas. Destinati per circa la metà a riscaldare le nostre case o cucinare, per poco più di un terzo a generare energia elettrica – dovendo supplire alla discontinuità del sole e del vento – e la restante parte alle industria.
Morale: senza il gas russo staremmo al freddo e al buio. Se avessimo consentito di sfruttare le nostre risorse di gas, avremmo potuto disporre di un certo margine di sicurezza. "No", urlarono all’unisono gli pseudo-ambientalisti, accusando le compagnie petrolifere di ogni nefandezza. Addirittura di aver causato il terribile terremoto in Emilia-Romagna nel 2012. Un’assoluta falsità. Per non farci mancar nulla venne poi indetto nel 2016 un referendum, il No-Triv, per bloccare le estrazioni. Perse, ma esse vennero ugualmente bloccate.
A distanza di sei anni, siamo ad oggi, sono state individuate alcune aree in cui poter riavviare l’attività mineraria. Che sia la volta buona? No: 37 domande presentate dalle imprese sono state sonoramente respinte. Da chi? Dallo stesso ministero della transizione ecologica che si è detto favorevole ad aumentare la nostra produzione per ridurre la dipendenza dal gas russo. Morale: continuiamo pure a farci del male.