Revoca concessione, Sapelli: "Contenziosi e perdite. Cacciare Aspi costa caro"

L’economista: la nazionalizzazione? L’ultimo di una serie di errori. "Colpiti piccoli e grandi investitori, l’esproprio terrorizzerà i big esteri".

Autostrade, l'incasso dei pedaggi

Autostrade, l'incasso dei pedaggi

"La revoca della concessione ad Autostrade sarebbe l’ultimo di una serie di errori". Giulio Sapelli, economista e storico, è netto nel bocciare il finale – apparentemente già scritto – del braccio di ferro tra il governo Conte e Aspi. La revoca della concessione, dicono gli analisti, porterebbe il colosso dei Benetton al default: a cascata, i 19 miliardi di debiti che l’azienda non sarebbe più in grado di ripagare, impatterebbero sugli investitori istituzionali (come Bei, Cdp e grandi banche) e sui 17mila piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto un prestito obbligazionario di 750 milioni di euro.

Professor Sapelli, il titolo Atlantia oggi (ieri per chi legge, ndr) è affondato in Borsa. Chi ci rimetterebbe di più da un’eventuale revoca?

"I piccoli investitori ci rimetteranno subito. Poi, se davvero revocheranno la concessione, Autostrade si difenderà: e questo significa contenziosi lunghi anni, un assoluto disastro, e molto dispendioso. A questo, va aggiunto anche il colpo all’immagine per l’Italia: questa ‘soluzione venezuelana’ ci fa diventare il Paese degli espropri. Gli investitori esteri, già spaventati dalla lentezza della nostra giustizia civile, si guarderanno bene dal puntare su di noi".

La mossa del governo era inevitabile?

"Negli ultimi decenni i governi hanno fatto errori a catena. Il primo è stato quello di trasformare un monopolio pubblico in un monopolio privato. Il secondo è stato immaginare regole della concessione, troppo sbilanciate dalla parte del gestore privato: troppi governi, di destra e di sinistra, le hanno avallate. Inoltre, questa revoca avviene sotto l’ombra di una sentenza della Corte costituzionale che ancora non abbiamo letto ma che è stata presentata con un sunto in un comunicato stampa. Consentire al governo di revocare un contratto senza una legge dello Stato mi pare un po’ dubbio sul piano della costituzionalità; grave il silenzio del Colle".

E Atlantia non ha sbagliato nulla?

"Registro una fallacia etica: il cda doveva dimettersi subito dopo il disastro del Ponte Morandi, o comunque gli azionisti avrebbero dovuto spingere per il ricambio dei vertici. Non è un atto dovuto per legge, ma è nella coscienza morale: è stato un errore, ma questo governo è preso da furore ideologico, non sono populisti, ma esorcisti".

C’è chi ha rievocato il modello Iri. Non sarebbe perseguibile?

"Non è possibile, l’Iri ha un’origine storica ben definita e non ripetibile. Cassa depositi e prestiti, che ha il vantaggio di non pesare sul debito dello Stato, è uno strumento utilissimo e ben diretto, ma sta già facendo molte cose. Non la coinvolgerei".

Dunque, quale soluzione si poteva adottare?

"Si può puntare sul ’not for profit’: lo Stato ci mette il capitale di partenza, non c’è cda ma un amministratore unico e i ricavi dei pedaggi vengono utilizzati non per dare rendimenti ma per pagare gli stipendi a manager e personale e per le spese di manutenzione e ammodernamento della rete. Ci sono esempi negli Stati Uniti, è un modello che funziona".

Si aspetta anche conseguenze sull’occupazione?

"Non so dirlo, di certo però in Italia il numero dei pensionati – io sono uno di loro, ho 70 anni e 52 anni di contributi – ha superato quello di chi lavora. I cantieri andrebbero sbloccati, non ostacolati".

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