Giovedì 18 Aprile 2024

Conte quasi leader, ma è una lotta Con Di Maio si accende la sfida

Domani l’ex premier verrà incoronato numero uno, il ministro degli Esteri gli fa da contraltare La base ha votato il nuovo Statuto. Sottotono la "festa della democrazia": Grillo resta in silenzio

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di Ettore Maria Colombo

La "festa della democrazia" è stata, appunto, una Festa: il primo passaggio della rifondazione del Movimento, la consultazione tra la base degli iscritti al M5s sul nuovo Statuto (erano iscritti alla piattaforma Rousseau, poi sono stati portati su Sky Vote) ha visto il quorum raggiunto al primo turno (61mila votanti su 113.800 aventi diritto) e, per risultato, un plebiscito di fatto per Giuseppe Conte (53mila sì, pari all’87,4%). Ora bisogna dare un nome e cognome al nuovo presidente, con la nuova votazione che si terrà oggi e domani: anche in questo caso, l’asticella sarà superata. Tutto bene, dunque? Mica tanto.

Innanzitutto, i poteri del garante, Beppe Grillo – è lui che indica agli iscritti di eleggere Conte presidente – escono non solo intatti, ma rafforzati. E Grillo neppure si perita di dire una parola che sia una per esprimere, pubblicamente, la sua gioia per la "festa della democrazia" che ha incoronato Conte.

In secondo luogo, emerge con sempre più forza la posizione centrale – oltre che moderata e draghiana – del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio che, sempre di più, si pone in antitesi a quella di Conte. Certo, Di Maio non ha cariche formali e Conte sta per assumere pieni poteri, ma il dualismo tra le due figure c’è e permane.

La cosa curiosa, e un po’ inquietante, è che i due – pur dissimulando contrasti e negando dissapori – si parlano, ormai, solo attraverso le interviste. Prima, escono i retroscena in cui, sulla riforma della Giustizia, Conte ricopre la parte del falco, pronto persino a causare una crisi di governo, e Di Maio quella del mediatore che porta a casa il risultato. Conte si imbufalisce, i suoi strepitano ("Di Maio è solo una minoranza, dentro l’M5s"), Casalino fa uscire una nota in cui “impone“ ai giornali il divieto di scrivere che, nel M5s, esistono "le correnti", "vietate dallo Statuto". Poi, Conte parla al La Stampa e scandisce: "Tutti, ma proprio tutti, devono uniformarsi alla decisione e all’indirizzo assunti, altrimenti non avremo un movimento politico ma un condominio".

Tradotto: questa è casa mia e qui comando io. Di Maio fa passare un giorno e, poi, a Repubblica dice: "Chi minaccia il governo affossa la ripresa del Paese" (e chi vuole capire capisce, da Salvini a… Conte), fa pesare anche che la mediazione, sulla giustizia, l’ha trovata lui, come pure è vero e, infine, sulle veline di questi giorni, nota che "ricevo attacchi, ma non leggo smentite".

E poi: "Queste diatribe interne non indeboliscono solo il Movimento, ma chi lo guida, è sempre stato così" – dice con esperienza di chi il M5s lo ha guidato. Punture di spillo? Forse, ma il dualismo resta in campo, e bello forte. Inoltre, i guai, per Conte, sono appena iniziati.

L’ex premier, una volta incoronato leader, dovrà presentare un nuovo organigramma interno: si preannuncia complesso, tra vicepresidenti, consiglieri nazionali e capi dei diversi comitati istituiti dal nuovo Statuto. La corsa è già iniziata. Paola Taverna e Stefano Buffagni (tra i primi ad applaudire al voto) sono in corsa, ma tanto quanto Lucia Azzolina, Chiara Appendino come pure molti altri big.

Luigi Di Maio e Roberto Fico, invece, dovrebbero rivestire il ruolo di saggi nel Comitato di Garanzia, che sarà proposto – e dunque scelto – da Beppe Grillo: il solo organo che può sfiduciare il leader.

Infine, sul tavolo del neoleader, ecco subito un’altra grana: usare il bastone o la carota con i due voti contrari – i deputati Frusone e Vianello – alla riforma Cartabia, oltre che nei confronti dei 16 assenti non giustificati al voto finale sul ddl. Saranno, nel caso, le prime espulsioni di Conte.