Conte-Grillo, nuova lite sulla prescrizione

Fine della tregua: le due anime del Movimento tornano a spaccarsi. L’ex premier difende Bonafede, i "governisti" stanno con Draghi

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di Elena G. Polidori

Come un cerino in un pagliaio. Il M5s "muore" – per dirla con Matteo Renzi – sulla riforma della giustizia firmata Marta Cartabia, che affossa quella voluta dall’ex ministro Alfonso Bonafede. La mediazione di Draghi sul tema della prescrizione ha polverizzato quel che restava dell’asse portante del M5s, quello governativo, provocando una vera e propria implosione che ora muove la maggioranza sotto una bandiera pericolosa, seppure solo in apparenza: quella dell’uscita dalla maggioranza che sostiene il governo Draghi.

Dopo la lunga notte del Consiglio dei ministri, ieri ad uscire per primo sulla riforma è stato l’ex premier Giuseppe Conte, seguito a breve giro da Bonafede e poi, di seguito da Alessandro Di Battista e da parlamentari di rango come Giulia Sarti. Tutti, in coro, a gridare "fuori dal governo". Perché la linea che era stata decisa, nella mattinata pre-cdm, era quella dell’astensione. Quando però la delegazione grillina di governo è arrivata a Palazzo Chigi, i ministri (Stefano Patuanelli, capo delegazione, Federico D’Incà e Fabiana Dadone) si sono riuniti con Draghi e con la Cartabia, per trovare una soluzione. Sembra che a "risolvere" davvero la situazione ci sia stata una telefonata Draghi-Grillo, durante la quale il premier avrebbe spiegato al fondatore che nella riforma c’era l’inserimento di reati contro la Pa, come la corruzione e la concussione, tra quelli con tempi di prescrizione allungati, tema da sempre caro ai grillini. E così, come se nulla fosse, anche il M5s di governo alla fine vota sì.

Ed è subito tracimazione a 5 stelle. Conte, misurato nella forma ma non nella sostanza, si dichiara subito "deluso". "Non sono sono sorridente per quanto riguarda la prescrizione – ha commentato a caldo – siamo tornati a quella che è un’anomalia italiana". Parole, in fondo, felpate, rispetto al razzo lanciato invece da Bonafede: "La norma votata – fiammeggia – rischia di trasformarsi in una falcidia processuale che produce isole di impunità e che, comunque, allungherà i tempi dei processi". Ma c’è di più; l’ex ministro punta il dito contro i suoi compagni di partito perchè "purtroppo, il M5s è stato drammaticamente uguale alle altre forze politiche". Alessandro Di Battista, dal sito Tpi, tuona contro i ministri che hanno mostrato "incapacità politica, pavidità, accidia e inadeguatezza" e invoca "una presa di posizione del gruppo parlamentare" contro "la balla della governabilità".

Una linea – quella di ’fuori dal governo – che trova sponde tra i parlamentari. Per Vittorio Ferraresi, ex sottosegretario a via Arenula, "se non conti nulla meglio stare fuori" dal governo. La pensa così anche Giulia Sarti, deputata in commissione Giustizia secondo cui, semplicemente, "non ci sono più le condizioni per restare nel governo Draghi. Fine". Danilo Toninelli, ex ministro delle Infrastrutture, chiede di far votare iscritti, gli stessi che ci hanno dato mandato di appoggiare il governo Draghi per difendere le nostre conquiste". In mattinata un lungo post sul blog ufficiale del M5s cerca di riportare la calma, ma già domenica è prevista una nuova riunione dei gruppi. Forse l’ultimo redde rationem.