Mercoledì 24 Aprile 2024

Conte e Renzi trattano, tregua armata. Ma la maggioranza resta appesa a un filo

Il leader di Italia Viva detta le condizioni per continuare a sostenere l’esecutivo: "Stufi delle decisioni prese in splendida solitudine"

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Quando in diplomazia si definisce un incontro "franco e cordiale", significa che nulla è stato risolto, i problemi sono ancora tutti lì sul tavolo. Ingarbugliati. E dunque, quella formula usata da Palazzo Chigi per descrivere il confronto – atteso da giorni – tra Renzi e Conte la dice lunga sul risultato: nulla di fatto. Le distanze restano tutte. Del resto, è durato poco più di 30 minuti: il tempo necessario al leader di Iv per togliere la pistola dalla fondina e metterla in bella vista, senza sparare.

"Non siamo qui per discutere, vogliamo risposte. Ci devi dire se vuoi continuare l’esperienza con noi". Un rinvio ’armato’: il secondo round ci sarà dopo il voto sulla manovra e sul decreto ristori, cui i renziani non si sottrarranno. Insomma: verso la fine dell’anno.

Sono le 19 quando il leader di Iv varca il portone di Palazzo: assieme a lui, le due ministre Bellanova e Bonetti, i due capigruppo (Boschi e Faraone) e il coordinatore nazionale del partito, Rosato. Conte lo attende nella sala verde assieme al capo di gabinetto della presidenza, Alessandro Goracci. Rapidi saluti, e subito il Matteo fiorentino gli dà il documento che, di primo mattino, ha messo su Facebook: "Il contenuto lo conosci...".

E Conte: "Sì, sì. L’ho visto. Ci sono spunti interessanti". Lo blocca subito Renzi: non vogliamo entrare nel merito, vogliamo capire cosa vuoi fare. "Non ci interessano le poltrone – scandisce –, ci sono due questioni fondamentali, una di merito, l’altra di metodo. Quanto a quest’ultimo, o cambia completamente o per noi finisce qui. Serve collegialità, basta con le robe decise in splendida solitudine".

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Non meno importanti, assicura, le nostre proposte: dal Recovery al Mes, la richiesta è di un’inversione netta di marcia. Più che un elenco di punti programmatici, le 5 pagine consegnate al premier sono il discorso con cui si giustifica una mozione di sfiducia in Parlamento. "Citi spesso i governi del passato come parte del problema: se ti riferisce al tuo, a quello gialloverde, hai ragione". E tuttavia Renzi quella sfiducia la tiene in sospeso: non siamo qui per entrare nel merito perché di infrastrutture, riforme, cabina di regia, lavoro abbiamo detto tutto quello che dovevamo. "Ora vogliamo capire cosa ne pensi tu".

Conte difende le sue scelte, ma assicura: "Rifletterò". Una riflessione ad ampio spettro, che arriva a lambire pure quel rimpasto che, per il premier, non è più un tabù, ancorché il sentiero per arrivare a un Conte ter è strettissimo.

La verifica dunque è appena cominciata. Del resto, tempo è ciò che serve a Renzi per riaprire la partita e uscire dall’isolamento. Sì, perché per trattenere il suo impeto, il Pd – che pure condivide la diagnosi del capo di Iv su ritardi e inadempienze del governo – si era fermato nei giorni scorsi sull’orlo dell’abisso.

A riaprire i conti, la mossa del premier che – puntando proprio sulla responsabilità dei vertici del Nazareno – aveva dato pubblicamente per chiusa la verifica e la modifica della squadra ancora prima di discuterne. Insieme all’ultimatum di M5s su quel superbonus "che – spiegano da quelle parti – proprio Conte ha scartato perché ha detto che non c’erano i soldi, per poi lasciare a noi la patata bollente".

L’elenco di proposte che ha presentato ieri il Pd – 36 slides, una delle quali dedicata al Mes – serve proprio a dimostrare che la faccenda è tutt’altro che conclusa. Ed è lo stesso vicesegretario Orlando a mettere i puntini sulle ’i’: "Siamo stanchi di forze politiche che mettono veti su questo o quel punto. E anche del fatto che si continui ad affrontare i veti con rinvii, ci vuole un programma chiaro". Un messaggio diretto tanto a Palazzo Chigi quanto a Renzi cui – al di là delle critiche – fa gioco. Perché gli serve per dimostrare che non è isolato.

La partita nella maggioranza insomma è ancora tutta da scoprire, e i suoi esiti sono circondati dalla nebbia. Ma almeno una cosa si può dire con certezza: il tentativo del premier di chiudere i giochi prima che iniziassero davvero è fallito.