Conte alza il tiro, duello con Di Maio La mediazione dopo le minacce

Psicodramma 5 Stelle, divisi tra governisti e puristi. L’ex premier minaccia la crisi, poi ripiega

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di Elena G. Polidori

A un certo punto, Giuseppe Conte, parlando con Di Maio, avrebbe buttato sul tavolo di una trattativa serrata, più dentro che fuori il M5s, anche questa provocazione: "Il semestre bianco comincia il 2 agosto, abbiamo ancora quattro giorni di tempo per buttare tutto all’aria e andare alle elezioni…". E lì, sostengono fonti grilline, il dialogo tra i due si sarebbe infiammato, col ministro degli Esteri che, a quel punto, avrebbe anche minacciato di strappare, con un voto a favore a fronte dell’astensione degli altri ministri 5 Stelle.

Ma sarebbe stata anche la fine del Movimento di governo. E nè Conte, nè Di Maio lo volevano davvero. Così, alla fine, la "mediazione" è arrivata, al termine di una giornata tesissima, anche se a fare la voce grossa, in Cdm, non sono stati solo i 5 Stelle ("la Lega e Forza Italia avevano perplessità più grosse delle nostre – confida una fonte grillina – e adesso dicono che hanno vinto loro, ma senza di noi si sarebbero intestati una riforma salva-mafia, altroché…").

Mario Draghi ha voluto, in qualche modo, assecondare le richieste di Conte, nella convinzione di ritrovare poi in lui "il miglior alleato per la tenuta del governo fino a fine legislatura", sostiene sempre la stessa fonte 5 Stelle. Per Conte, quella di ieri può essere annoverata comunque come una vittoria, nonché investitura politica della sua leadership. "Non è la nostra riforma – ha commentato a caldo l’ex premier – ma ho fiducia sulla tenuta del M5s in Aula". "Abbiamo ottenuto il 90% di quello che chiedevamo – tira un sospiro di sollievo un ministro stellato – e ha ragione Conte, abbiamo contribuito a migliorare questa riforma, che non è la nostra, ma non è neppure quella che ha scritto la Cartabia".

Una mediazione, dunque, che però è stata un vero e proprio psicodramma interno al M5s, una delle giornate più dure – la descrivono così in molti – perché la lacerazione non stava per avvenire solo a livello di maggioranza di governo, ma anche dentro il Movimento, diviso nettamente tra governisti-mediatori ad oltranza e duri e puri decisi al sacrificio più alto (far cadere Draghi, ndr) pur di mantenere il punto, con in prima fila l’ex Guardasigilli, Alfonso Bonafede, e la "pasionaria" Giulia Sarti: di loro si sentirà parlare ancora.

Conte ieri è rimasto tutto il giorno alla Camera per trattare e a sera è riuscito a stoppare un gruppo di dissidenti del Senato che, nonostante tutto, minacciavano lo strappo in Aula dopo quello, avvenuto in mattinata, di Elena Botto, che ha lasciato i 5 stelle perché non si riconosceva più in un partito "trattativista" sulla giustizia.

Ma più che altro è stato con Di Maio che il confronto per Conte è stato più difficile che con Cartabia o Salvini. Il titolare degli Esteri ha spinto in modo robusto perché si arrivasse ad una sintesi in Cdm nella consapevolezza dei rischi per il governo, mentre Conte pendeva verso una tenuta dei gruppi parlamentari, frammentati come non mai. In serata, passata la buriana, si nega, tra le file grilline, che ci sia stato uno scontro tra i due, ma adesso tutto passa in Aula. E non è ancora detta l’ultima parola. Le defezioni, nel Movimento, non sono comunque scongiurate. Conte lo sa, come sa che da qui a quando la sua presidenza non sarà formalizzata con il voto in rete, tutto resterà appeso ad un filo.

A settembre, infatti, con le amministrative alle porte, con la riforma della concorrenza e quella del fisco sul tavolo del governo, la "pax draghiana" rischia di vacillare ben prima della grande partita del Quirinale. Dove, però, i 5 Stelle puntano ad avere un peso importante. "Una cosa è certa, dopo questa riforma credo che il voto del M5s per il Colle la Cartabia l’abbia perso...", sottolineava ieri una fonte di governo. Di fatto, la Cartabia non l’ha mai avuto.