Coronavirus, rebus scuola: troppi prof nell'età a rischio

II 40 per cento dei docenti e dei bidelli ha più di 55 anni. Secondo le misure in vigore, potrebbe chiedere di non andare in classe.

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Poco meno della metà dei docenti (quelli sopra i 55 anni di età, ma anche più giovani se affetti da patologie che diano immunodepressione o se colpiti da disabilità non grave) potrebbe chiedere per ragioni di salute (in quanto più "fragile" rispetto al Coronavirus) di restare a casa o, in alternativa, di continuare l’attività in smart working e, dunque, con la didattica a distanza. Potrebbe farlo legittimamente sulla base delle regole previste da decreti, accordi e circolari, di sicuro fino alla fine dello stato di emergenza (attualmente fissato al 15 ottobre), ma, almeno per il lavoro "agile", anche fino al 31 dicembre. E il risultato, anche se solo la metà dei potenziali interessati scegliesse questa strada, sarebbe la paralisi della riapertura delle scuole, con un caos di sostituzioni, supplenze e vacanze in organico tale da mettere a rischio lo stesso tentativo di un ritorno in classe dal 14 settembre prossimo.

L’allarme ai piani alti del ministero dell’Istruzione è scattato da settimane e non è detto che non vi sia anche questo dietro l’uscita del ministro Lucia Azzolina contro i sindacati, "colpevoli" di aver messo in evidenza anche questo ostacolo lungo la strada verso la ripresa delle attività in presenza, con la richiesta di piani adeguati per le supplenze.

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Ma vediamo da dove nasce il rischio di assenze di massa giustificate o della possibilità della continuazione della didattica a distanza. Ebbene, sono molteplici gli atti (documenti Inail e del Cts, leggi, circolari del Ministero della Salute, protocolli con le parti sociali) che tra marzo e giugno hanno identificato "una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (sopra 55 anni di età)" che, "in presenza di co-morbilità", può comportare una maggiore rischiosità. Con la conseguente previsione di un vero obbligo per il datore di lavoro di approntare "sorveglianza sanitaria eccezionale" e misure adeguate di protezione dei lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio, sia per l’età sia per altre patologie che implicano rischi di immunodepressione. Fino alla fine dello stato di emergenza.

Ora, la misura più adeguata di protezione fin qui adottata consiste nello smart working, che diventa un vero diritto, alternativo all’assenza giustificata, per determinate categorie: "Non si tratta – spiega Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, il centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi – soltanto delle persone con disabilità o che abbiano esigenze di cura in famiglia, ma anche delle persone immunodepresse, nonché, più in generale delle persone che hanno più di 55 anni". Ebbene, anche solo considerando gli over 55 (e non gli altri casi indicati), si riscontra che nella scuola il 40 per cento dei docenti (300mila prof su 730mila) e del personale Ata (90mila su 200mila) supera la soglia di età fissata e, dunque, può chiedere la protezione sanitaria eccezionale o stando a casa in assenza giustificata o ricorrendo allo smart.

"Se da una parte è vero che i docenti non dovrebbero essere tra le figure interessate dalla concessione ’facile’ del lavoro a distanza – puntualizza Massagli - per evidente impossibilità di garantire la propria prestazione lavorativa in modalità virtuale dal momento in cui gli studenti torneranno in classe, è anche inevitabile che il sindacato e il numerosissimo personale scolastico chiederanno che siano prese adeguate precauzioni per il personale scolastico più anziano, esigendo lo stesso trattamento riconosciuto ai dipendenti delle altre amministrazioni centrali".