Mercoledì 24 Aprile 2024

Connessi e ossessionati dai cavetti La salvezza? Il caricabatterie unico

Cassetti pieni di fili e l’incubo di restare con lo smartphone spento. La Ue studia la soluzione universale

di Viviana

Ponchia

Il caricabatterie universale. Questa volta giurano che ci siamo. Quindi è consigliabile prepararsi al grande passo, aprire quel dannato cassetto e fare pulizia con mente fredda. Salterà fuori di tutto. Il cavetto preistorico di un Nokia rosicchiato dal gatto, la fune abbrustolita che esplose per uno sbalzo di tensione durante una vacanza a Capoverde, il connettore di un notebook morto senza dare spiegazioni. E tutti gli alimentatori separati da chi dovevano alimentare, per distrazione o dolo: i bambini fortunatamente sanno perdere le cose, o lo fanno apposta quando ne vogliono di nuove. Restano gomitoli di plastica.

Chiavi senza serratura che raccontano vecchie porte, confondono certezze (Io? mai posseduto un iPhone), smuovono traumi non risolti (questo era della povera nonna, e giù lacrime).

Se non li buttiamo abbiamo i nostri motivi. Potrebbero sempre servire (quando mai) e comunque non sappiamo dove (dovrebbero essere riportati in negozio o in un’area ecologica, cosa che unita allo shock da separazione, di solito, non riesce a nessuno).

Ma adesso cambia tutto. Arriva un cordone ombelicale da cui non staccarsi più, patrimonio comune da dividere fra smartphone, tablet, e-reader. E, se non si è troppo schizzinosi, da scambiarsi all’interno di piccole comunità, come in casi di emergenza fanno i più disinibiti con lo spazzolino da denti. Sta per diventare realtà quel sogno lungo almeno dieci anni che porterà pace e serenità in famiglia, sepolta da reperti da cui nessuno è in grado di separarsi e sul pianeta, ormai sommerso dall’immondizia tecnologica. Quello che è mio è tuo e viceversa, dove ricarico io ricarichi tu.

Ci siamo perché la Commissione europea dice di essere alle prese con gli ultimi ritocchi a una bozza di regolamento rivoluzionaria che imporrà il caricabatterie universale per dispositivi mobili, con buona pace della Apple che gioca i suoi fatturati sul ricambio degli accessori. A Cupertino, dove gli iPhone vengono caricati dal cavo Lightning, hanno già incominciato a lamentarsi: le regole che obbligano i connettori a conformarsi a un unico tipo potrebbero scoraggiare l’innovazione, creare una montagna di rifiuti elettronici e irritare i consumatori. La responsabile delle politiche per la concorrenza, Margrethe Vestager, ne parla come di una cosa fatta (diciamo prima metà del 2022) e c’è chi ipotizza anche una porta di ricarica ’armonizzata’, che poi sarebbe il massimo.

È la fine di un’era di egoismo e paura. Possiamo dimenticare il biberon a casa senza sentirci vicini all’estinzione, seppellire grovigli inutilizzati, contare sempre e dovunque sul filo d’emergenza di un amico o di un barista. Il rapporto che abbiamo con il caricabatterie è già diventato materia psichiatrica.

Secondo uno studio della Cass Business School di Londra, l’icona che indica la percentuale di autonomia sul cellulare deforma la percezione di tempo e spazio, come ha confermato l’osservazione sui pendolari che interpretavano il tragitto giornaliero in base alla distanza che li separava dalla ricarica. Siamo tutti messi un po’ così. Non pensiamo in termini di chilometri o di fermate ma di percentuale di sopravvivenza del telefonino. Un pendolare ha ammesso le oscillazioni dell’umore in base alle tacche: piena voleva dire "Sì, grande, pronti per affrontare la giornata"; 50 per cento "Oddio, farei meglio a togliere l’aggiornamento delle applicazioni in background..." e 30 per cento "Adesso non posso più divertirmi".

E attenti, perché gli altri ci giudicano proprio dal rapporto con il cavetto: un costante livello di carica evidenzia i maniaci del controllo, i pignoli – programmatori un po’ ossessivi. Chi lascia regolarmente il telefono a secco invece è frustrante, disorganizzato, sconsiderato. E presto non avrà più alibi.