Conflitto nucleare e radiazioni Così l’Italia può giocare in difesa

L’assenza di rifugi rende debole la protezione, diverso è il caso di incidenti o blitz fuori dai confini

In caso di guerra nucleare globale un attacco diretto all’Italia farebbe da centinaia di migliaia a milioni di morti, a seconda della magnitudo dell’attacco. Non avendo rifugi antiatomici e pochi rifugi antiaerei adattabili a rifulgi anti fallout – la pericolosissima ricaduta di materiale radioattivo – la popolazione sarebbe molto esposta.

Anche con creatività e flessibilità, quindi utilizzando le miniere attive (poche) e quelle (tante) dismesse, le stazioni sotterranee della metropolitana e delle ferrovie, tunnel stradali e ferroviari, i parcheggi e i depositi industriali sotterranei, solo una parte della popolazione potrebbe mettersi (relativamente) al sicuro dal fallout (ma, attenzione, senza garanzia di avere acqua e cibo sicuri). Per gli altri resterebbe solo la possibilità di rinchiudersi in cantine e sotterranei vari o, peggio, restare in casa, magari accendendo i riscaldamenti per fare ‘sovrapressione’ e tenere fuori l’aria contaminata dal fallout radioattivo.

Target possibili sono le basi italiana di Ghedi (Brescia) e americana di Aviano (Pordenone) che ospitano le bombe nucleari americane in Italia, poi le basi americane di Sigonella e di Vicenza, il comando Nato di Napoli, forse la base di Poggio Renatico in provincia di Ferrara e la base della marina militare di Taranto. E magari le città. Allo stato – a parte Ghedi e Aviano – pure speculazioni. Contro un attacco simile ci sarebbe poco da fare, se non sperare che gli intercettori missilistici e aerei possano bloccare i missili (o i bombardieri) in arrivo. Discorso diverso per quanto riguarda un’esplosione nucleare (o una limitata guerra nucleare) combattuta in Ucraina. In questo caso sarebbero utili (e decisivi) i rifugi anti fallout, sia quelli ex antiaerei che quelli improvvisati (miniere, metropolitane, gallerie di ogni tipo, parcheggi sotterranei) e una capillare difesa civile.

Il Viminale ha un piano per questo. "Il Piano Nazionale di difesa civile – dicono al ministero – contiene le strategie di prevenzione e le pianificazioni mirate al soccorso, anche all’interno di scenari complessi . Il Piano rappresenta la direttiva per la stesura dei Piani predisposti da amministrazioni pubbliche e private erogatrici di servizi essenziali, nonché di quelli provinciali messi a punto dai prefetti". "Le pianificazioni – assicurano – sono sottoposte, per testarne la funzionalità operativa, a esercitazioni periodiche e l’ultimo aggiornamento risale a gennaio 2021. L’articolo 14 del decreto legislativo 300 del 1999 attribuisce la competenza al ministero dell’Interno e alle prefetture, che la esercitano attraverso il Dipartimento dei Vigili del Fuoco. Ad assicurare il coordinamento con le amministrazioni dello Stato è la Commissione Interministeriale Tecnica della Difesa Civile". In particolare, "gli scenari che caratterizzano il rischio N (attacco nucleare) e R (attacco radiologico) vanno dall’esposizione a una sorgente radioattiva, all’utilizzo di una cosiddetta ‘bomba sporca’, fino allo scenario peggiore caratterizzato dall’utilizzo di atomiche".

Discorso diverso per un incidente ad una centrale nucleare straniera – minaccia più gestibile – per il quale il coordinamento sarebbe della Protezione Civile che opererebbe con dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), i ministeri dell’Ambiente, dell’Interno e della Salute.

Alessandro Farruggia