Giorgio
Comaschi
Va in onda ogni giorno nelle nostre vite la grande commedia delle comunicazioni a distanza, in video, quelle che si chiamano orrendamente conference call o call e basta (ma non si potrebbe dire riunione in video o chiamata? Perché devo chiederti se mi fa una call? Non è più facile: chiamami? Mah). Zoom, Skype, Meet e tutte le varie diavolerie del genere. Leggevo che in uno studio si diceva che soffriamo di stress da queste situazioni e definivano il disturbo come "zoom fadigue" (sempre per dare prova della nostra irrecuperabile demenza). Ma gli scenari di queste "conferenz coll" sono esilaranti. Fondali improbabili scelti per fare bella figura, di solito librerie con dietro libri mai letti, per dare prova di impegno e di cultura. Salotti eleganti per far vedere di stare in un bel posto. Addirittura ci sono delle app che vendono fondali finti che puoi inserire, così da far credere che stai parlando dalle Maldive o da Marte. Ma chi fa i collegamenti da casa deve anche fare i conti con variabili impossibili da controllare. Bambini ululanti che entrano in campo, che salgono in braccio a chi sta parlando, che strappano occhiali, che infilano dita nel naso al babbo e poi ungono lo schermo. Il quale dice: "Scusate...ma vedete, ho qualche difficoltà". Huston abbiamo un problema insomma. Si spera in una moglie che intervenga e strappi la furia dal suo attacco da forze speciali, ma niente. L’uomo di solito è disperato, perché poi è il turno del gatto che sale sul tavolo e cerca un primo piano, oppure cani ululanti che si mettono ad abbaiare per il semplice fatto che sono cani e, come si sa, i cani adorano le conference call. Si assiste spesso a scene penose, con riunioni di consiglio o riunioni di importanza capitale, che devono essere interrotte bruscamente perché ne va della incolumità, a volte forse anche della vita, del protagonista aggredito. In questi casi non si chiama più smart-working. Ma (attenzione al nuovo termine): "breakingballs-working".