Giovedì 18 Aprile 2024

Condannato per mafia D’Alì si presenta in carcere

Per i giudici l’ex senatore forzista sarebbe vicino a Matteo Messina Denaro

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In Parlamento ha passato ben 24 anni, senza interruzioni: dal 1994 al 2018, sei legislature.

Ma ieri Antonio D’Alì – già sottosegretario all’Interno del secondo governo Berlusconi (dal 2001 al 2006) – ha varcato le porte carcere di Opera a Milano. Si è consegnato spontaneamente, dopo che la prima sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna a sei anni di reclusione oltre all’interdizione dai pubblici uffici per 3 anni per concorso in associazione mafioso emessa dalla Corte d’appello di Palermo il 21 luglio 2021. In soldoni, l’uomo un tempo di spicco della Forza Italia siciliana è stato riconosciuto definitivamente colpevole di aver sostenuto "per decenni" Cosa Nostra mettendo a disposizione del sodalizio criminale risorse economiche e politiche.

In particolare, per i pm, l’ex senatore trapanese avrebbe avuto rapporti con le cosche e con esponenti di spicco dell’organizzazione come il superlatitante Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Francesco Pace, fin dai primi anni ’90 "almeno fino al 2006", e avrebbe cercato l’appoggio elettorale delle ’famiglie’. D’Alì avrebbe poi svolto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare del Golfo agli interventi per l’America’s Cup. Dei presunti collegamenti di D’Alì con le cosche hanno parlato vari pentiti tra cui Antonino Giuffre’, Antonio Sinacori, Francesco Campanella e da ultimo don Ninni Treppiedi e Antonino Birrittella, che sono stati ritenuti attendibili dai giudici d’appello. L’ex parlamentare ha sempre respinto le contestazioni: sul tavolo a suo favore ci sono due assoluzioni ottenute in processi precedenti, l’attendibilità dubbia di un teste chiave – il pentito Birrittella e – sostiene la difesa – il fatto che la Corte d’appello avrebbe ignorato "elementi importanti" a favore del condannato.

La Cassazione l’altro ieri ha messo la parola fine ad un iter processuale durato oltre 11 anni: le vicissitudini giudiziarie dell’ex sottosegretario sono quasi lunghe come la sua carriera nelle Istituzioni. La richiesta di rinvio a giudizio risale all’ottobre 2011: nel 2013 i pm palermitani avevano chiesto la condanna a sette anni e quattro mesi, poco dopo il gup aveva assolto D’Alì per i fatti successivi al 1994, dichiarando prescritti quelli precedenti, sentenza confermata tre anni dopo in Corte d’appello, fino all’annullamento disposto dalla Cassazione il 22 gennaio 2018 che ha fatto ripartire il nuovo processo, concluso nel 2021 con la condanna 6 anni.

red.pol.